Torna a parlare Marco Materazzi e lo fa dalle colonne della Gazzetta dello Sport. Un'intervista interessante, con Matrix che parla a 360 gradi di Inter, delle vittorie e del momento di crisi attuale.
Materazzi: in questi 50 giorni, mentre l’Inter precipitava, a lei cosa veniva da dire più spesso?
«Mi piange il cuore, non posso vederla così».
Cosa vedeva?
«Cosa non vedevo: l’anima degli anni passati. E questo al di là di tutte le giustificazioni, che pure ci sono».
L’ha rivista venerdì contro il Chievo?
«Più che altro ho visto un’Inter con Stankovic davanti alla difesa, Sneijder dietro le punte e Poli a centrocampo. Questa squadra deve avere geometrie, qualità e gente che corre: Ranieri l’ha capito, bravo Ranieri. Del resto, come si dice dalle sue parti, quando l’acqua arriva al sedere, tutti imparano a nuotare».
L’ha capito tardi?
«Non è mai tardi, c’è ancora tempo per fare delle cose. A Ranieri va dato un merito: quando è arrivato ha cercato una quadratura attraverso delle certezze. Però poi, quando è il momento di accelerare, serve di più: il gioco, e chi gioca».
Allude a Sneijder?
«Alludo. Quando si parlava di Inter che poteva fare ameno di Wes mi dicevo: "Qui il mondo va al contrario". Ma forse Ranieri lo faceva per stimolarlo: gli allenamenti li vede lui, lui sa se ce n’era bisogno».
Da ex giocatore: cambiare così spesso sistema di gioco aiuta o disorienta?
«Per me era uno stimolo, ma guardi che non è stato mica quello il punto: il problema è che cambiava il modo di giocare, ma non cambiavano quasi mai gli uomini. Ed è un allenatore che deve saper gestire le forze: i giocatori vogliono sempre andare in campo e questo per me è un pregio, non un difetto».
Ranocchia sperava di andarci un po’ di più...
«E un po’ di turnover in più non ci sarebbe stato male. Ad Andrea non pesa il numero 23 sulle spalle, ma il momento che sta vivendo: più o meno la mia stessa situazione pre Mondiale 2006, e questo è un augurio per il suo Europeo. Ecco, spero che Prandelli si comporti con lui come Lippi fece con me».
Ma il poco turnover non è dipeso anche da un mercato che siè dimostrato sbagliato?
«Pensare che Alvarez fosse il nuovo Kakà, Castaignos il nuovo Henry e Jonathan il nuovo Maicon è stato fare un torto anzitutto a loro. Moratti i soldi li ha sempre spesi, ma non è uno che vuol fare tutto lui: a Branca hanno fatto tutti i complimenti, io per primo, quando aveva azzeccato tutto, però può arrivare anche un momento in cui si deve fare un po’ di mea culpa».
Continuare a dire che si crede nel terzo posto, anche se è lontanissimo, non è da mea culpa? Non vuol dire illudersi, e illudere?
«Io lo so che convincere qualcuno a venire all’Inter per fare l’Europa League sarà dura. Però, guardiamoci negli occhi: troppe squadre davanti, e troppi punti persi. Se si passa con il Marsiglia, è più facile arrivare in finale di Champions che terzi in campionato».
Tre motivi per passare il turno con il Marsiglia?
«Uno solo: si deve passare. Una squadra che fa la Champions da dieci anni, non può aver paura del Marsiglia dopo aver perso 1-0 all’andata, giocando il ritorno in casa».
Effetto San Siro?
«Se bolle, quello stadio può fare di tutto. E spingere Julio Cesar o Samuel, Zanetti o Stankovic o Sneijder è facile: è gente che si fa trascinare, e trascina».
E quando quello stadio ha invocato «un uomo forte» aveva ragione?
«Dopo aver preso contro il Catania un gol in fuorigioco di due metri, io qualcosa l’avrei detta. Galliani in certi casi le cose le dice, cavolo se le dice».
Manca più l’Inter a Materazzi o Materazzi all’Inter?
«A me manca tantissimo, e i tifosi mi dicono la stessa cosa. Anche gli ex compagni, per la verità: se avessero deciso loro, sarei rimasto. Se proprio non ero più buono per giocare, o ero troppo ambizioso per dare serenità all’ambiente, se non altro portavo fortuna... A parte il primo anno - e non dipendeva da me - io la Champions League l’ho sempre fatta».
Chi ha deciso che Materazzi non serviva più in campo?
«Credevo fosse Leonardo, ma poi lui è andato via: evidentemente qualcuno ha cavalcato l’onda di quella decisione, senza volerla cambiare».
Ma fuori dal campo non doveva avere un ruolo?
«Evidentemente finora si è pensato che non ce ne fosse uno adatto a me. Comunque con il presidente ho parlato anche una settimana fa: il giorno che mi chiederà di fare qualcosa per l’Inter, avrà la mia totale disponibilità».
E intanto?
«Intanto faccio un sacco di cose, ma quella che mi sta impegnando di più in questi giorni è far conoscere il più possibile anche in Italia una battaglia che tutto il modo deve combattere: quella contro il criminale ugandese Kony».
Autore: Alessandro Cavasinni
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