Strano popolo, gli italiani. Popolo che “perde le partite di calcio come se fossero guerre e perde le guerre come se fossero partite di calcio”, secondo un aforisma attribuito a Winston Churchill. Oppure, se vogliamo rimanere a espressioni temporalmente più recenti “se ti vede passare con una bella macchina, il suo primo stimolo non è di averne una anche lui, ma di tagliarti le gomme”, giusto per citare Flavio Briatore. Che, nel pensiero di un immenso giornalista come Indro Montanelli, ha l’invidia sociale come sua malattia mortale; che non ti perdona il successo e ama gufare più che incitare. E che con estrema facilità sa passare da un giudizio estremo all’altro, specie quando si tratta di commentare un risultato sportivo, basandosi solo ed esclusivamente sul punteggio stretto guardando il quale issare all’altare o far cadere giù dalla torre qualcuno. Prova ne sia quanto letto nelle ore immediatamente successive alla serata del Civitas Metropolitano.
Eppure, basterebbero le parole pronunciate a fine partita dallo stesso Diego Simeone, trascinatore del popolo dell’Atletico Madrid verso l’agognata remuntada nel ritorno degli ottavi di finale di Champions League contro l’Inter, quando a domanda posta da un giornalista italiano su eventuali pezzetti mancanti alla squadra nerazzurra per poter salire al livello delle grandi d'Europa, ha risposto con area stupita, quasi attonita, parlando apertamente di un’Inter “fortissima, che gioca in maniera incredibile con giocatori che arrivano da tutte le parti, che ci ha costretto a giocare 5-4-1 se no non riesci a tenerli”, ricordando che in stagione aveva perso sin lì un solo incontro (due, guardando la Coppa Italia), e, assioma spesso dimenticato nel mondo del calcio, non è possibile sempre vincere.
Ammirazione onesta? Semplice e furbesca captatio benevelontiae guardiolana? Senza dover fare per forza pesare le parole col bilancino, quelle del Cholo sono comunque parole importanti, di grande rispetto, soprattutto ponderate sulla qualità dell’avversario che magari non ha vissuto la miglior serata della propria storia ma che comunque, quando ha potuto, ha saputo creare ansie alla squadra biancorossa di Madrid. E mentre nemmeno tra i commentatori stranieri si è vista troppa schizofrenia nell’analizzare l’andamento del match di mercoledì, nei nostri confini è stato un immediato pullulare di commenti catastrofici o giù di lì, dove fin troppo a cuor leggero si sono usati termini come ‘dramma’, ‘incubo’, addirittura ‘disfatta’. E lasciando perdere i discorsi da social tra tifoserie, che poi anche lì bisogna mettersi d’accordo su quando vanno bene e quando invece sono da catalogare come fastidioso rumore di fondo, stride tentare così la carta del clic facile o dell’innalzamento del volume di radio o televisione. E meno male che qualcuno si era premurato di non fare tragedie in caso di un ko…
Sicuramente l’Inter qualcosa ha sbagliato, altrimenti non saremmo qui a parlare di un’eliminazione agli ottavi. Ha sbagliato qualcosa oltre gli errori dal dischetto di Alexis Sanchez, Davy Klaassen e Lautaro Martinez, la leggerezza di Benjamin Pavard e insieme di Stefan de Vrij nell’azione del pareggio o la morbidezza dello stesso difensore olandese che si perde Memphis Depay sul 2-1, o nei contropiedi gettati alle ortiche da Marcus Thuram e Nicolò Barella. Gli errori ci sono stati, ma non è giusto fare tutta ad una ‘reductio ad unum’ sottolineando i soli demeriti, così come non è giusto star lì a fare il gioco del ‘se fosse’. Non è detto che se l’Inter all’andata avesse concretizzato almeno una delle tante occasioni sciupate avrebbe evitato i patemi al ritorno, perché magari veniva fuori una partita diversa già a San Siro; non è assenza di coraggio il mancato inserimento di Tajon Buchanan, perché qualora fosse entrato per dare più spinta e fosse arrivato comunque il 2-1, sarebbe stato un attimo tacciare Inzaghi di troppa presunzione. Non è affatto vero, poi, che l’Inter ha rinunciato a fare il suo gioco, perché ci sono stati sì momenti di sofferenza ma alla fine le situazioni importanti ci sono state e soprattutto la sconfitta è arrivata solo ai rigori contro una squadra che nelle partite dentro o fuori in Champions in casa non ha mai perso.
E soprattutto, non ha alcun senso mangiarsi le mani perché l’Atletico ha beccato il Borussia Dortmund ai quarti, perché chi ve lo avrebbe detto che sarebbe andata ugualmente se nell’urna ci fosse stata l’Inter? Non dimentichiamo che l’unica volta che l’Inter ha avuto negli ultimi anni un sorteggio davvero desiderabile in Champions League, è stato rifatto da capo dopo nemmeno due ore… Siamo sempre a riempirci la bocca sul fatto che la Champions League è la competizione dei dettagli, e proprio i dettagli alla fine hanno pesato sull’esito dell’infausto match. L’Inter non aveva acquisito la finale di Londra per diritto divino dopo esserci arrivata l’anno scorso, ogni stagione e ogni partita sono un intero capitolo di storia a loro stanti.
La cosa più logica da fare è tornare a pensare che questa squadra ha compiuto sin qui una stagione clamorosa che ora è chiamata a portare a termine, magari senza pensare ad eventuali record di punti che poi è un attimo sentire che per colpa di questi primati tanto simpatici quanto vacui è stato mandato a monte l’obiettivo della vittoria finale in Champions perché non c’era nulla da invidiare a City, Real Madrid o compagnia cantante. E soprattutto, tornare a incitare questa squadra già da stasera nella gara col Napoli, magari pensando al ruggito continuo del Metropolitano di Madrid, un boato assordante lungo 120 minuti che ha coinvolto ogni settore dello stadio, rappresentando un fattore ambientale davvero incisivo. Perché sono bellissimi i sold out di San Siro, ma raramente causano mal di testa agli avventori a partita finita.
Perché la partita di stasera contro i campioni d’Italia uscenti è più insidiosa di quanto si pensi, e la situazione di classifica ha un valore relativo: se storicamente novanta minuti al Bernabeu possono essere molto lunghi e 120 minuti e oltre al Metropolitano si sono rivelati interminabili, si può immaginare che razza di insostenibile apnea possano rappresentare due settimane di pausa Nazionali dopo un eventuale secondo passo falso consecutivo…
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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