Esordio in Serie A a 16 anni con la maglia del Bari, qualità e fiuto del gol da predestinato, l'occasione della vita nel 1998 e qualche infortunio di troppo che lo hanno frenato proprio sul più bello. Può essere così riassunta la carriera di Nicola Ventola, uno di quegli attaccanti che è sempre riuscito a entrare nel cuore dei tifosi perché in campo 'ha sempre dato tutto'. Semplicemente. E per i tifosi dell'Inter non rappresenta certo un eccezione. Nonostante la grandissima concorrenza e, come detto, qualche sfortunato stop fisico il suo score in nerazzurro recita: 37 presenze e 11 gol nella prima stagione, 26 e 10 reti nel 2001-2002, l'annata poi terminata con la tristemente storica sconfitta contro la Lazio.
Un'annata, però, personalmente da ricordare, quando con Mohamed Kallon ha formato una delle coppie più amate dagli interisti. Un tandem efficace, concreto e di sacrificio che ha trascinato l'Inter in testa alla classifica nel momento più delicato, quando l'allora tecnico Hector Raul Cuper non poteva contare sui vari Alvaro Recoba, Ronaldo e Christian Vieri. Oggi FcInterNews è con lui, il bomber con il 78 che in questa lunga intervista racconta la 'sua' Inter, tra ricordi, aneddoti e un 'grazie' veramente speciale. Quello, ovviamente, per Massimo Moratti.
Con il Bari settore giovanile ed esordio in Serie A prima della grande chiamata nell'estate del 1998.
"Ero tanto, tanto orgoglioso di approdare in una società come l'Inter. In quel momento avevo tante opportunità e più di una squadra che mi avrebbe voluto, ma io vedevo in quello nerazzurro il club del futuro. C'erano tantissimi campioni, come Ronaldo, Baggio, Pirlo, Djorkaeff, Zamorano, Zanetti, Simeone, Paulo Sousa... Certo, il Bari era e resterà per sempre il mio primo grande amore, ma l'Inter era l'Inter".
Come hai vissuto il salto in una big?
"Sono sincero, all'inizio avevo un po' di timore, ma dopo tutto è andato in modo fantastico per me. Riuscii a segnare subito, sia in campionato che in Champions League contro lo Spartak Mosca. Insomma, nonostante la grandissima concorrenza l'inizio è stato molto positivo per me. Arrivò anche l'opportunità di andare in Nazionale in occasione di uno stage. L'allora ct Zoff mi disse che avrei poi giocato titolare contro la Spagna, ma contro la Sampdoria mi ruppi il ginocchio. Da quel momento iniziarono i problemi fisici e incontrai qualche difficoltà nel rientrare in campo. Non posso poi dimenticare il gol contro il Manchester United. Speravamo in una rimonta, ma alla fine passarono gli inglesi".
Stagione per molti versi 'maledetta' quella 1998-1999, ricordata dai più come quella 'dei quattro allenatori': quale fu il problema principale?
"Quando non arrivano i risultati diventa tutto più difficile. Poi il nostro spogliatoio era ricco di personalità forti: c'era Bergomi che, nonostante fosse a fine carriera, era un leader assoluto, poi penso agli stessi Simeone e Paulo Sousa. Gente con grandissima personalità che si faceva sentire tanto. Difficilmente la formazione degli allenatori accontentava tutti, c'era sempre qualcosa che non andava. Non dico che in quella stagione vennero a crearsi dei 'gruppetti', ma quasi. Dispiace per i tecnici, alla fine sono sempre loro che pagano, ma non era assolutamente tutta colpa loro".
Hai avuto la fortuna di giocare con un campione incredibile, probabilmente uno dei 2-3 più forti di sempre.
"Ronaldo era una cosa fuori dal comune. Con lui avevo un rapporto bellissimo, eravamo anche in camera insieme durante i ritiri. Sono stato anche in Brasile a trovarlo per passare un capodanno insieme. Eravamo veramente grandi amici, poi l'età era quasi la stessa (italiano classe '78, brasiliano '76, ndr), e questo ci ha portato ad avvicinarci di più. Adesso ci siamo un pochino persi di vista, perché la vita va così. Ma lui resta sicuramente un mio grande amico".
Nello stesso anno hai giocato anche con un'altra leggenda del calcio mondiale.
"Non c'e bisogno di parlare del Baggio giocatore, ma voglio anzi aggiungere che stiamo parlando di una persona veramente squisita. Rispetto a Ronie, però, ho legato di meno per il semplice fatto che avevamo un'età differente: Roberto era già padre di famiglia e non l'ho vissuto come il brasiliano. Ma il ricordo, ovviamente, resta molto bello".
Cosa ricordi del Ronaldo giocatore? Tutti lo hanno ammirato durante le partite, ma tanti tuoi ex colleghi parlano di un atleta che in allenamento mostrava delle qualità e abilità veramente da 'marziano'.
"Hai assolutamente ragione. Tutti hanno visto Ronaldo in partita, non altrettanto durante la settimana. Lì mostrava delle cose incredibili. Io non ho mai avuto modo di vedere Messi durante gli allenamenti, ma sicuramente Ronie per me rimane il giocatore più forte del mondo. Ti racconto un episodio molto simpatico: amava 'prendere in giro' Taribo (West, ndr), dichiarando prima della giocata: "Amico, adesso ti punto e ti faccio il tunnel, quindi mi raccomando, chiudi bene le gambe". Taribo lo aspettava, stava attento in ogni modo a non lasciargli spazio, teneva le gambe strette, ma non c'era nulla da fare. Riusciva comunque a fare la giocata, il tunnel gli riusciva sempre. Incredibile, veramente. Secondo me Ronaldo ha cambiato la storia del calcio e il modo di interpretare il ruolo".
In cosa in particolare?
"È stato il primo atleta in assoluto a unire tecnica, potenza e velocità allo stesso tempo. Era uno spettacolo da vedere. Dopo di lui, a livello di caratteristiche, è arrivato Cristiano Ronaldo. Ma il brasiliano è stata l'assoluta novità in questo senso".
A proposito di ricordi, 'copi-incolli' il parere di tutti gli ex o attuali giocatori nerazzurri che definiscono da sempre Moratti un vero e proprio 'secondo padre'?
"Assolutamente sì. Non posso fare altro che essere d'accordo con tutti loro. Poi con me è stato fantastico, di una generosità incredibile. All'Inter affrontai un anno completo di totale infortunio, durante la stagione 2003-2004. Moratti avrebbe potuto tranquillamente stracciare il mio contratto, ma decise di rinnovarlo e mi curarono in maniera esemplare. Mi mandarono in America perché in Italia non si riusciva a trovare la soluzione al mio problema, mi trattarono come un figlio. In un momento inoltre molto particolare: l'Inter in quel momento stava puntando su Martins, Kallon stava facendo bene e c'era un Adriano incredibile, e la società sapeva che a fine stagione io sarei andato via, probabilmente senza incassare un soldo, ma mi curarono lo stesso come fossi parte del progetto e del loro futuro. E grazie all'Inter e a Moratti sono tornato un giocatore di calcio. Ringrazierò per sempre il presidente".
Tristemente ricordata come quella 'del 5 maggio', nella stagione 2001-2002 avete sfiorato il grande sogno.
"Quella squadra aveva un gruppo unito e compatto, aiutato da un tecnico che sapeva gestire i propri uomini alla grande. Sono sincero, forse Cuper non era all'altezza di guidare una big come l'Inter, ma possedeva questa grande dote. Ci si parlava e confrontava tutti insieme, anche con Ronaldo e Vieri. Soprattutto nei momenti in cui qualcuno non stava benissimo fisicamente".
Insieme a Kallon hai trascinato l'Inter per gran parte di quella stagione, per poi farvi da parte una volta rientrati a tutti gli effetti gli stessi Vieri e Ronaldo, oltre Recoba. Rispetto a questo tridente super, la coppia formata da te e il sierraleonese cosa aveva di diverso o, se vogliamo, in più?
"Con noi in campo si prendevano pochissimi gol. Probabilmente non era una squadra così tanto bella da vedere, ma eravamo sicuri, concreti e forti difensivamente. Con Recoba, Ronaldo e Vieri si faceva spettacolo. Sapevi che, anche subendo più di un gol, avevi comunque tante probabilità di vincere la partita. A un certo punto avevamo 7-8 punti di vantaggio rispetto alla seconda, ma con il prosieguo delle giornate questo distacco è andato via via azzerandosi. La tua è una domanda difficile a cui rispondere, anche perché posso capire Moratti che gradiva vedere un'Inter con quei tre fenomeni in campo. Diciamo che io e Mimmo (Kallon, ndr) ci facevamo il cosiddetto 'mazzo' (ride, ndr)".
A proposito di Kallon, con lui hai formato una delle coppie più amate dai tifosi interisti.
"Resta un mio grande amico, siamo sempre rimasti in contatto e abbiamo avuto modo di vederci proprio qui a Milano quando Thohir ci ha invitato. Mohamed è sempre stato un ragazzo simpaticissimo, poi siamo diventati padri nello stesso periodo. Sicuramente ho un grande ricordo di lui".
Per quanto riguarda l'attualità, cosa pensi di questa Inter?
"Se dovessero arrivare i gol in modo costante potrà sicuramente lottare per lo Scudetto. Rispetto al recente passato la squadra è migliorata tantissimo in fase difensiva, e gli acquisti in questo reparto sono stati di assoluto livello. Anzi, aggiungo che non mi aspettavo potesse partire così bene. L'Inter è solida, anche se deve migliorare in fase di costruzione e realizzazione. Si fa troppa fatica a segnare, ma quando Mancini inserirà alla perfezione tutti gli uomini l'Inter rimarrà in alto. Ne sono sicuro".
Cosa manca a questa rosa?
"Un attaccante centrale di alto livello, uno di quelli che 'rompe le scatole' se va in panchina. Palacio è bravo, al pari di Ljajic, ma a questa squadra servirebbe un vice-Icardi. Per vincere lo Scudetto devi avere almeno due attaccanti veri, forti. Come ho detto, uno che si 'lamenta' in caso di panchina".
Oggi al comando dell'Inter c'è Thohir, che per te un posto nella storia dell'Inter lo riserverà sempre. La frase "il mio preferito è Ventola" è ormai diventata storica, quasi un 'tormentone' qui in Italia.
"(Ride, ndr). Il giorno in cui il presidente dichiarò questo il mio cellulare iniziò a suonare in continuazione, fino quasi a esplodere! In tanti mi prendono ancora in giro, e io ci scherzo sopra, ma il presidente intendeva una cosa molto chiara: gli piaceva il mio coraggio, la voglia di sacrificarsi e di vincere. Ricordava l'Inter di Cuper, e con quella frase mi citò come esempio del prototipo di giocatore che ammirava".
In conclusione, quasi superfluo dire che un pezzo del tuo cuore resta nerazzurro.
"Certamente. Mio fratello vive a Milano e so che i tifosi nerazzurri mi ricordano con affetto e mi vogliono ancora bene. L'interista ama il giocatore che mette tutto in campo e suda per la maglia che indossa, anche se i risultati non arrivano. Li ringrazierò per sempre".
Autore: Francesco Fontana / Twitter: @fontafrancesco1
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