Sono arrivati, hanno visto e, a modo loro, un po’ come Giulio Cesare hanno vinto. Almeno nelle buone intenzioni e nei progetti: hanno vinto perché sono arrivati da poco tempo sul pianeta del calcio italiano, loro provenienti da due Paesi che sul piano della cultura calcistica sono qualche passo indietro rispetto alle roccaforti ma che sul piano dell’operatività non sono secondi a nessuno, e hanno sostanzialmente capito e messo a nudo quelli che sono alcuni dei problemi del calcio italiano. E il tutto, senza lamentarsene ma anzi proponendo soluzioni e idee, cosa alquanto rara in un mondo stagnante e troppo spesso adagiato su se stesso come quello del pallone nostrano. Sembra una strana storia, quella di un indonesiano e di uno statunitense che si sono messi in testa un’idea che rischia quasi di farli passare come coloro che, in un’altra epoca, venivano additati come matti perché pensavano di poter risanare le Ferrovie dello Stato, secondo la nota battuta di Giulio Andreotti. Ma loro che si sono messi in testa di risistemare la condizione del calcio del nostro Paese non meritano scherno ma attenzione, molta attenzione.
Erick Thohir, fresco 44enne, re indonesiano dei media e rampollo di una delle più ricche famiglie del Paese del sud-est asiatico, ha ufficializzato il suo approdo alla guida dell’Inter nell’ottobre 2013: una svolta storica, un tycoon straniero che rileva la maggioranza delle azioni di uno dei club più vincenti del nostro Paese, evento inimmaginabile forse fino a nemmeno troppo tempo addietro. E che arriva ponendo subito una serie di paletti, quelli che lui ama definire pilastri, condizioni necessarie e sufficienti per riportare l’Inter ai piani alti in ambito italiano e internazionale, dopo anni di buio: il risanamento delle finanze societarie, l’aumento degli introiti e la disciplina in ambito finanziario. Il progetto di Thohir si pone come obiettivo numero uno quello di un’Inter scevra da spade di Damocle finanziare, usando quel termine, risanamento, che gli è costato anche una tiratina d’orecchie (opportuna?) dal presidente onorario Massimo Moratti, ma elemento indispensabile per risistemare un bilancio che continua a mostrare numeri preoccupanti.
Il suo progetto prevede, anche e soprattutto, maggiore attenzione verso le necessità degli sponsor e dei tifosi, e parlando di tifosi si parla su scala mondiale: quindi presenza internazionale del brand, attraverso l’Academy, le tournée, l’acquisto di giocatori che possano anche fungere da ‘volano’ per l’immagine dell’Inter del mondo. E’ un percorso lungo e faticoso, Thohir non ne ha mai fatto mistero, e ci vorrà pazienza anche se i primi passi sono rapidi, lunghi e ben distesi. Ma i suoi discorsi non sono dedicati solo al prodotto Inter, ma all’intero prodotto Serie A: Erick Thohir ha fatto capire di avere a cuore quello che è il destino del campionato italiano, una volta torneo più seguito in Asia e oggi scalzato senza pietà dall’efficienza della Premier League. E allora, ecco gli appelli alla coesione di intenti, al saper guardare quelle che sono le esigenze sportive e non solo di quelli che ormai sono diventati i nuovi centri di gravità dell’economia mondiale non solo sul piano calcistico; discorsi che vanno dalla ridefinizione degli orari delle partite fino all’avveniristica ipotesi di portare, un giorno, il derby Inter-Milan in Indonesia o Singapore. Un sogno? Può darsi, ma il vincitore è un sognatore che non si è arreso, diceva Nelson Mandela, non uno qualunque…
Thohir, pertanto, si pone sulla stessa lunghezza d’onda di chi è arrivato prima di lui dall’estero a rilevare un club italiano: James Pallotta, 56 anni, da Boston, presidente della Roma. La Roma americana, quella che lanciò tempo addietro il suo ‘progetto’ che all’inizio è stato fatto anche oggetto di ironie, specie considerati i risultati deludenti della squadra acuiti dalla bruciante sconfitta in finale di Coppa Italia contro la Lazio del 2013, e che nello spazio di pochi mesi è esploso in tutta la sua potenzialità. Merito del lavoro sul campo di Rudi Garcia, che ha plasmato un collettivo eccezionale frenato solo dalla debordante, almeno in Italia, Juventus, ma che alle spalle ha la funzionalità delle politiche di Pallotta e dei suoi fidi scudieri Italo Zanzi e Walter Sabatini. E adesso, Pallotta rilancia attraverso un’intervista alla Reuters nella quale spiega per filo e per segno la sua visione per la Roma e per la Serie A del futuro: e anche qui, si parla di nuovi mercati, di tifosi globali da scovare e fidelizzare, di strategie di penetrazione nei nuovi mercati, di nuovi contenuti. E di un campionato italiano che potrebbe esplodere per competitività ma che finisce spesso vittima degli interessi particolari e di campanile. Un messaggio, quello della ‘guerrilla’, inteso quasi a voler dare la scossa a tutto il movimento.
Sono arrivati da mondi lontani, e vogliono provare a scuotere il nostro calcio, farraginoso e praticamente immobile; che ha avuto forse per due volte l’opportunità di anticipare tutti diventando la lega più moderna del mondo e che ha miseramente sciupato tutto, coi risultati che adesso sono sotto gli occhi di tutti; Erick Thohir e James Pallotta, senza voler predominare su nessuno ma con determinazione e spirito combattivo, cercano così di porsi alla guida del sistema football italiano, capitani coraggiosi che vogliono rimettere a nuovo una nave piena di falle e farla tornare a splendere. No, non prendeteli per pazzi…
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