"Quanto ti infastidisce l’etichetta di grande comunicatore che prevale spesso su quella di grande allenatore?". È una delle domande poste dal Corriere dello Sport a José Mourinho, protagonista oggi di una lunga intervista di cui ieri vie abbiamo riportato una breve anticipazione (RILEGGI QUI). L'ex allenatore nerazzurro risponde a suo modo, senza troppi giri di parole: "Un grande comunicatore non vince tutti i titoli più importanti del calcio". 

Alleni da un quarto di secolo, vent’anni fa vincesti la prima Champions. Quanto sei cambiato da allora e dove credi di essere migliorato? 
"Sono cresciuto a tutti i livelli. Ogni giorno imparo qualcosa di nuovo, lavoro per migliorare continuamente. E non è una frase fatta". 

Dove risiede la grandezza di un allenatore? 
"Nella carriera, non nel momento. La grandezza di un allenatore è nei risultati, non nella filosofia. E nell’umanità, non nell’egocentrismo. Nel coraggio, non nell’autotutela. Nell’onestà, non nel relazionale. Nella sintonia con la nuova generazione di colleghi. Nel riuscire a dormire bene di notte perché sa di essere stato sempre indipendente intellettualmente e verticale".  

E altri potrebbero esserci. Cosa pensi del Var a chiamata e del tempo effettivo? 
"Sono l’ultimo che può parlare di Var e tempo effettivo. Lasciamo questi argomenti ai fenomeni del calcio. Io sono solo un allenatore e voglio fare solo l’allenatore". 

I fenomeni del calcio? Scusa, chi? 
"Gli allenatori bravi che non sanno vincere, gli esperti dei social media e gente che ha potere decisionale ma che sa di calcio come io di fisica dell’atomo. Il calcio è il regno della superficialità e dei luoghi comuni e un’etichetta non si nega a nessuno. Di solito quando la gente parla di me pensa a cosa è successo quindici, dodici, otto o dieci anni fa. È così per la maggior parte dei grandi allenatori che di solito guidano le squadre migliori e hanno le maggiori possibilità di arrivare in finale. Negli ultimi anni ho fatto tre finali, una con il Manchester United e due con la Roma. Guardo a tutto ciò un po’ divertito, e allo stesso tempo con orgoglio perché quando fai questo con un club senza storia in Europa, ti rendi conto che hai realizzato qualcosa di speciale".  

Qual è stata la tua partita perfetta e perché? 
"Uhi, difficile rispondere… Porto-Lazio 4-1, semifinale Uefa 2002-2003? Loro hanno segnato dopo 50 secondi e in seguito non hanno più toccato palla. Inter-Bayern 2-0, dopo un minuto si sapeva già chi avrebbe vinto. Manchester-Tottenham 1-6, e avrebbero potuto essere 7, 8, 9. È altrettanto complicato non trovare una partita perfetta nei miei Chelsea che hanno mangiato la Premier".  

E quale il rimpianto? 
"Se parliamo di partite, tanti perché quando perdi pensi sempre che avresti potuto fare diversamente, e di partite ne ho perse parecchie. Se invece ti riferisci alle scelte professionali, il no a Florentino. Mi disse “Mou, non andare via adesso, il difficile l’hai fatto e viene il bello… Sapevo che sarebbe stato così, però volevo tornare al Chelsea dopo tre anni in Spagna di grandi lotte... E dopo Budapest. Non per il casino combinato da Taylor, ma per il fatto di non essermene andato subito. Avrei dovuto lasciare la Roma, non l’ho fatto e ho sbagliato". 

Torneresti a lavorare in Italia? 
"Certo". 

Segui ancora Roma e Inter? 
"Non ho più visto giocare la Roma. L’Inter, sì". 

Nel futuro c’è una nazionale? 
"Sì. Voglio giocare un Europeo o un Mondiale, unire un Paese intorno alla sua nazionale nello stesso modo in cui sono riuscito tante volte con i club e i tifosi. Voglio farlo per il calcio, per quello che questo sport rappresenta. Sarà incredibile".  

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Sezione: Focus / Data: Mar 31 dicembre 2024 alle 08:30
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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