E' Cristian Chivu il protagonista della nuova puntata di 'Mister si Nasce', il format di Sportitalia in cui gli allenatori delle squadre Primavera si raccontano. Ecco la lunga intervista rilasciata dall'ex difensore romeno: 

Partiamo dal 26 ottobre 1980.
"La mia data di nascita, sono nato in Romania, a Resita, sotto il regime comunista, quindi cresciuto senza niente, senza la Tv, senza tutti gli attrezzi che oggi tutte le nuove generazioni hanno a disposizione. Però felice, un bambino felice, che ha trovato sempre insieme ai suoi amici il modo per divertirsi e crescere bene e poi strada facendo, crescendo, mi sono appassionato del calcio". 

Il pallone tra i piedi te lo ritrovi anche per merito di tuo padre. 
"Il mio papà era un ex giocatore di calcio, poi aveva intrapreso la strada da allenatore in una squadra dilettantistica. La passione me l'ha trasmessa lui, ma prima di iniziare con il calcio ho fatto tanti sport... o almeno ci ho provato. Dal karate allo sci di fondo, tennis. Per poi ritornare al mio grande amore che era il pallone da calcio". 

La prima grande esperienza è con l'Ajax.
"Erano gli anni dove l'Ajax arrivava in finale di Champions, vinceva anche. Per me era una grande opportunità perchP ero cresciuto con quel modello. Avevo seguito le loro partite in Champions League. All'epoca era una grande opportunità per me e l'ho colta al volo. Sono stato fortunato perché maturo come uomo e calciatore, mi è servito ed è stato utile per tutta la mia vita". 

In quell'Ajax c'era Zlatan Ibrahimovic: la prima tua parte di carriera vissuta con lui, era già quello che conosciamo oggi?
"Aveva l'ambizione per diventare quello che poi è diventato. Aveva la testa giusta nel capire quale era il suo obiettivo senza perdere di vista il percorso. La differenza l'ha fatta lì. Oggi parliamo di un giocatore fantastico, uno che ha scritto la storia". 

E poi c'è il tuo arrivo in Italia: la prima esperienza con la maglia della Roma. Ti ricordi quel momento, il passaggio?
"Quattro anni all'Ajax, avevamo vinto il campionato. Per una squadra giovane arrivare quasi in semifinale di Champions League, dove all'epoca c'erano i due gironi da superare per giocare i quarti. Purtroppo non ce l'abbiamo fatta e abbiamo perso contro il Milan all'ultimo secondo. Avevo bisogno di cambiare, Roma è stata l'opportunità giusta per il completamento mio come giocatore per uscire dalla comfort zone. All'Ajax avevo tutto, ero il capitano. Dovevo fare un passo in avanti, per mettermi alla prova, per far vedere che sono cresciuto come uomo e atleta. Scelta giusta, perchè ho passato quattro anni meravigliosi nella Capitale". 

Alla Roma hai trovato Totti. 
"Quello che mi stupisce è la sua umiltà, perché come giocatore non c'è niente da dire, lo conosciamo tutti. Quello che è stato in grado di fare in campo, la sua visione di gioco, il suo modo di essere e fare. Come persona, credo che sono pochi ad aver avuto la fortuna di incontrarlo e conoscere. E' un ragazzo umile, perbene e abbiamo legato una sana amicizia che dura tuttora". 

C'è un ricordo in particolare di Roma che tiene nel cuore.
"Sono tanti i ricordi che ho nella Roma. Io mi sono imposto come obiettivo di vincere in tutte le squadre in cui ho giocato. Abbiamo vinto una Coppa Italia contro l'Inter, negli anni precedenti ne avevamo perse 2-3 sempre contro di loro e avrei voluto vincere lo scudetto con la Roma per regalare qualcosa di speciale a quei tifosi meravigliosi. Purtroppo non siamo stati in grado di farlo e abbiamo finito tre volte secondi in quattro anni. Ecco, mi mancava vincere lo scudetto lì: avrei completato l'opera". 

Dalla famiglia Sensi alla famiglia Moratti: la storia con l'Inter
"Era la squadra più forte del campionato. Affrontandoli, giocandoci contro mi rendevo conto quanto fosse forte quella squadra. Avevo capito che per me era arrivato il momento di cambiare squadra, ho scelto io dove andare e ho scelto l'Inter. La scelta non fu colta bene dall'ambiente Roma, però era una situazione a cui dovevo pensare a ciò che mi rendeva felice. Ero testardo e quando non sento più fiducia intorno a me, devo prendere delle decisioni e l'Inter fu una decisione giusta. Vincere i titoli, i trofei, è stata una cosa fondamentale". 

Nel 2010 arriva il Triplete. 
"Tutto nasce strada facendo, non è stata una cosa programmata. Quando giochi nell'Inter hai come obiettivo di cercare di vincere tutto. Però poi arrivi nel mese di maggio e ti trovi coinvolto in tutte le competizioni possibili. Senza renderti conto si va avanti, partita per partita e si arriva a quel 22 maggio. Un'emozione indescrivibile: vincere non è mai scontato, ci vuole un po' di fortuna e ci vogliono le persone giuste in un ambiente giusto che viene creato per darti la possibilità di vincere". 

Mourinho nello spogliatoio prima della partita cosa vi ha detto?
"Non mi ricordo. Avevamo parlato tanto in quella settimana. Siamo arrivati a Madrid qualche giorno prima: la partita era sabato, credo di martedì. Quello che parlò prima della partita nella riunione fu Samuel E'too. Lui la Champions l'aveva vinta... Una finale di Champions non è mai facile da gestire dal punto di vista emozionale. La paura che un giocatore può avere è rispondere alla domanda: 'E se perdessimo?'. Nonostante sei consapevole del percorso e di quanto sei forte, rispondere a quella domanda non è mai facile". 

Chi è il giocatore più forte con cui hai giocato?
"Ho avuto la fortuna di giocare con tanti. Non è giusto parlarne di uno o due... Ci sono tante componenti: dal lavoro al talento, dalla gestione all'aspetto mentale. Poi ovviamente spicca quello chi fa gol o chi delizia il pubblico...". 

6 gennaio 2010: la gara con il Chievo e il fallo di Pellissier. 
"Era il mio giorno di rinascita (ridr, ndr). Non è stato un momento facile da gestire, avevo tante incertezze. Poteva finire tutto: nella sfortuna, sono stato fortunato. E' mancato poco perché non riuscissi più a parlare o non riuscissi a muovere la parte sinistra del mio corpo. I giorni di convalescenza, le mille domande che mi facevo, l'incertezza di non essere più un calciatore professionista, con la fortuna di essere ancora un uomo normale. Mettevo sulla bilancia le due cose. Per fortuna sono ancora qua a raccontare... Dopo due mesi e mezzo ero in campo, con le mie paure e incertezze, soffrivo durante le partite, soprattutto nel colpo di testa. Tutte le cose subite nel post-intervento, con tutte le medicine che prendevo, mi avevano portato a fare delle cose che non erano parte di me: a partire dai gesti osceni fatti dopo la partita di Coppa a Roma, al pugno a Marco Rossi, alla litigata con Rafa Benitez. E nessuno sa che prendevo delle medicine che mi toglievano i filtri. Mi ricordo che i miei compagni chiamavano a casa mia moglie e le chiedevano se tutto fosse apposto. Se fossi aggressivo a casa o se le mettessi le mani addosso. Ci tengo a specificarlo, perché poi vengo giudicato per uno che è andato a Roma a fare quei gesti osceni; ho chiesto scusa, ma non ho mai specificato i motivi. Il pugno a Marco Rossi fu come un animale che reagisce al primo istinto, però c'è un perché: dintoina, anti-epilettici che avrei dovuto prenderli per 2 mesi, ma invedce li ho portati avanti per 9 mesi. Ci tenevo a dirlo...".

Rome e Inter, da una parte Luciano Spalletti dall'altra Jose Mourinho: due allenatori vincenti. Cosa ti hanno dato?
"Mi hanno dato tanto e non solo loro due, anche quelli che ho affrontato, guardando il lato umano della persona. Due allenatori onesti, coerenti, vincenti che hanno voglia di migliorare i giocatori. Chi per l'aspetto psicologico o tecnico-tattico". 

Una caratteristica di entrambi. 
"Mourinho ha tanto carisma, ha conoscenze del campo e ha quel fiuto di capire la persona che ha di fronte. Stesso discorso per Spalletti: migliora i giocatori, crede tanto nel lavoro e non a caso sono nell'albo d'oro del calcio italiano". 

Da calciatore alla tuta da allenatore: il racconto di questo passaggio. 
"Tutto nasce nel lavoro che facevo per l'UEFA, andavo ad analizzare le partite di Champions ed Europa League. Siccome ero l'unico senza patentino di tutto quel gruppo, dissi: 'Non posso andare lì solo perché ho giocato a pallone e sono in grado di fare l'analisi tattica'. Ho iniziato a seguire il corso a Coverciano, i contatti con l'Inter andavano avanti da anni, mi avevano proposto di lavorare con il Settore Giovanile. Ho avuto un incontro con Piero Ausilio e Roberto Samaden in America: avevo voglia di passare del tempo con la mia famiglia poi si rinnovò quell'offerta e accettai volentieri, partendo da una squadra non agonistica. Ho scelto io di partire dal basso: volevo vedere se fossi in grado di far capire ai ragazzi le mie idee. Quest'anno sono fortunato perché credo che chiuderò un ciclo: ho iniziato con i 2005 e mi ritrovo tanti ragazzi in Primavera, nonostante sono sotto età. Mi fa piacere ritrovo ora qualcosa che avevo trasmesso all'epoca". . 

Legame speciale con Samaden
"Analizzo sempre l’uomo e la persona, a livello del Settore Giovanile non ha paragoni. Mi sento onorato e orgoglioso di aver conosciuto". 

L’anno scorso lo scudetto, forse a sorpresa?
"Per me non è stata una sorpresa, ti sbagli. La mia fortuna è stata lavorare con loro due anni. L’anno scorso era il terzo, sapevo quello che erano i punti deboli di quel gruppo, ma soprattutto, a livello individuale, le carenze. A metà stagione abbiamo fatto lo switch, ci siamo detti in faccia le cose che non andavano e tutto è culminato con la vittoria finale. Per me non è stata una sorpresa, dovevamo capire i tasti giusti e nascondere qualche deficit. L’emozione più grande l’ho avuta in semifinale con il Cagliari, ho ancora la pelle d’oca se ripenso al terzo gol. E' stato straordinario, una cosa così forte non l'avevo mai provata. Ho ringraziato i ragazzi per avere vissuto una cosa del genere". 

Una gara folle, di rivincita. 
"Il calcio è questo. Si passa da un’emozione all’altra… come il meteo. Da pensare a ‘che figura di m**** che stiamo facendo’, perché eri sotto 3-0, a vivere un’emozione del genere. Questo è il bello del calcio. Bisogna sempre crederci e uscire a testa alta".

Videomessaggio di Marco Materazzi:
"Materazzi e Stankovic sono quello con cui ho legato molto. Tuttora siamo in contatto, siamo i fratelli 'zingari', 'gipsy'. E’ una persona eccezionale, abbiamo il rammarico di aver giocato insieme poco. Ci siamo divertiti un sacco in allenamento, avevamo la voglia di non perdere e ci mettevano sempre contro".

Mister si nasce o si diventa?
"Si diventa, con passione, con lo studio, con il tempo, con la voglia di credere che una volta usciti dalla zona comfort, inizia la vita. Quella che viene prima è il lato umano: se non hai questo diventa tutto molto superficiale. E’ un misto di tutto, ci vogliono tanti attributi, non c’è una ricetta ben precisa. Devi credere in quello che fai portando avanti le tue idee".

L'analisi tattica.
"A me piace il giocatore pensante, quello che si riesce a riconoscere durante una partita. A me non piacciono le cose codificate, sono cresciuto in una società in cui la tecnica di base e il passaggio sono le cose fondamentali. Ci vuole poi intelligenza e velocità del pensiero, l’occupazione del campo. Modulo preferito? Non ne ho. Cerco di capire cosa ho a disposizione e provo a non mettere in difficoltà. Bisogna far credere nell’autostima: è importante il percorso per arrivare all’obiettivo, mai accontentarsi e cercare di mettersi alla prova". 

In campo Stankovic ed Esposito come li metti?
"Ho cambiato i capitani quest'anno. Avevo bisogno di due uomini nello spogliatoio, di due persone vere, per creare una simbiosi nel gruppo. Uno fa il play, l’altro è la colonna portante della squadra. Sono due sotto età, due 2005 che fanno la differenza in Primavera. Devono avere pazienza per costruire il loro percorso. Sono due ragazzi eccezionali che provengono da famiglie di ex giocatori, Pio e Ale sono migliori perché i fratelli minori devono sgomitare per avere un posto nella vita". 
 

Sezione: In Primo Piano / Data: Lun 08 maggio 2023 alle 21:48
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
vedi letture
Print