Liberata dall'ossessione della vittoria di contiana memoria, l'Inter di Simone Inzaghi ha mostrato la sua vera faccia anche in Europa, al cospetto dei 13 volte campioni del Real Madrid. Il recente passato rimane una voce lontana che soffia come un vento lieve da Anfield, quella dell'ex tecnico, ora talent di Sky, che ha sussurrato all'orecchio del suo successore "gli auguro di fare meglio di quello che abbiamo fatto noi". Un auspicio, sulla cui sincerità ognuno si farà la sua idea, che si è scontrato contro il peso specifico della prima volta in Champions League senza i totem Lukaku e Hakimi, anche se l'1-0 dei blancos a un passo dal triplice fischio è il risultato che non racconta per forza la verità su quanto successo in campo. La terza sconfitta in pochi mesi contro gli spagnoli, però, non può essere nemmeno derubricata alla voce 'casualità': l'ago della bilancia, in questo tipo di gare tirate, finisce sempre per indicare la parte del piatto dove c'è più esperienza nel gestire certi momenti.
In principio, l'Inter perse a Valdebebas in quella fase del contismo che aveva fatto una deviazione panoramica nel percorso che portava al bel gioco. Nel ritorno a San Siro furono i dettagli a decidere la contesa, con il 10 vs 11 che spostò ogni tipo di analisi oggettiva verso la polemica arbitrale. Ieri, statistiche a parte, l'Inter ha giocato a viso aperto contro la squadra di Ancelotti ma senza sconfessare il proprio credo tattico, dentro un atteggiamento catalogabile con un aggettivo: leggerezza. Forse aiutata dalla collocazione cronologica del duello con la prima forza del girone (perdere all'esordio coi più forti non è un dramma), la formazione nerazzurra ha disseminato per tutti i 90' indizi sulla sua nuova identità, nel bene e nel male. Il primo 'oh' di San Siro dopo 6' non è arrivato per una giocata deluxe di qualche nuovo acquisto ma per un errore più unico che raro in fase di impostazione dal basso di De Vrij. Nulla di compromettente a livello difensivo, ma un segnale di come l'abbassamento della tensione sia una caratteristica che emerge con più frequenza rispetto alla precedente versione. Per contraltare, 3' più tardi, ecco uno sganciamento in avanti di Skriniar che si è trovato a condividere la stessa area di rigore, quella avversaria, con Dzeko e Lautaro. Una giocata coraggiosa che non è più figlia di un automatismo schematico ma è una decisione istintiva presa all'interno di una libertà di interpretazione nuova. Il tutto genera grande imprevedibilità sui due lati del campo che si trasforma in diverse palle gol create contro una, anche clamorosa, concessa: se Militao fallisce un colpo di testa semplice bucando la retroguardia distratta (36'), dall'altra Lautaro e Brozovic flirtano col vantaggio spaventando il miglior degli ospiti, Courtois, qualche secondo più tardi.
E' il portierone belga, bravo a conservare lo 0-0, a forzare i cambi affrettati nella ripresa di Inzaghi che, per sua stessa ammissione, voleva tenere alta l'intensità dei suoi: l'ingresso al 55' di due uomini freschi sugli esterni, Dimarco e Dumfries, non sortisce chissà quale effetto. Ancora meno si sente l'impatto sulla gara delle altre new entry, Vidal e Correa, in campo al posto rispettivamente di uno spento Calhanoglu e di Lautaro. Dzeko, alla quarta partita intera di fila (esclusi i minuti finali di Verona) sembro l'inizio di una dipendenza che andrà verificata nel tempo (al netto delle condizioni di Sanchez). L'idea maturata dopo l'ultima sessione di mercato, infatti, è quella di poter contare su più alternative, magari meno forti in valore assoluto rispetto alla passata stagione, ma più vicine come valore nell'economia del gioco. Si pensi a Marcelo Brozovic, l'uomo simbolo di questo nuovo corso che non ha un vero e proprio omologo nel ruolo: eppure Inzaghi lo ha già stato sostituito due volte a partita in corso, senza impedirgli di vincere il premio di Mvp Uefa nel match più duro di questo avvio di stagione. L'Inter di Inzaghi è quella in cui ci si aspetta guizzi da tutti, anche da Samir Handanovic che va a saltare di testa nell'area avversaria per provare a pareggiare la prima partita di un girone eliminatorio. Un portiere in attacco non per disperazione, ma per quel senso di improvvisazione che esplode tutto insieme dopo essere stato soffocato in due anni da Conte. Che fu esiliato dall'Europa per uno 0-0 con lo Shakhtar che grida ancora vendetta.
In principio, l'Inter perse a Valdebebas in quella fase del contismo che aveva fatto una deviazione panoramica nel percorso che portava al bel gioco. Nel ritorno a San Siro furono i dettagli a decidere la contesa, con il 10 vs 11 che spostò ogni tipo di analisi oggettiva verso la polemica arbitrale. Ieri, statistiche a parte, l'Inter ha giocato a viso aperto contro la squadra di Ancelotti ma senza sconfessare il proprio credo tattico, dentro un atteggiamento catalogabile con un aggettivo: leggerezza. Forse aiutata dalla collocazione cronologica del duello con la prima forza del girone (perdere all'esordio coi più forti non è un dramma), la formazione nerazzurra ha disseminato per tutti i 90' indizi sulla sua nuova identità, nel bene e nel male. Il primo 'oh' di San Siro dopo 6' non è arrivato per una giocata deluxe di qualche nuovo acquisto ma per un errore più unico che raro in fase di impostazione dal basso di De Vrij. Nulla di compromettente a livello difensivo, ma un segnale di come l'abbassamento della tensione sia una caratteristica che emerge con più frequenza rispetto alla precedente versione. Per contraltare, 3' più tardi, ecco uno sganciamento in avanti di Skriniar che si è trovato a condividere la stessa area di rigore, quella avversaria, con Dzeko e Lautaro. Una giocata coraggiosa che non è più figlia di un automatismo schematico ma è una decisione istintiva presa all'interno di una libertà di interpretazione nuova. Il tutto genera grande imprevedibilità sui due lati del campo che si trasforma in diverse palle gol create contro una, anche clamorosa, concessa: se Militao fallisce un colpo di testa semplice bucando la retroguardia distratta (36'), dall'altra Lautaro e Brozovic flirtano col vantaggio spaventando il miglior degli ospiti, Courtois, qualche secondo più tardi.
E' il portierone belga, bravo a conservare lo 0-0, a forzare i cambi affrettati nella ripresa di Inzaghi che, per sua stessa ammissione, voleva tenere alta l'intensità dei suoi: l'ingresso al 55' di due uomini freschi sugli esterni, Dimarco e Dumfries, non sortisce chissà quale effetto. Ancora meno si sente l'impatto sulla gara delle altre new entry, Vidal e Correa, in campo al posto rispettivamente di uno spento Calhanoglu e di Lautaro. Dzeko, alla quarta partita intera di fila (esclusi i minuti finali di Verona) sembro l'inizio di una dipendenza che andrà verificata nel tempo (al netto delle condizioni di Sanchez). L'idea maturata dopo l'ultima sessione di mercato, infatti, è quella di poter contare su più alternative, magari meno forti in valore assoluto rispetto alla passata stagione, ma più vicine come valore nell'economia del gioco. Si pensi a Marcelo Brozovic, l'uomo simbolo di questo nuovo corso che non ha un vero e proprio omologo nel ruolo: eppure Inzaghi lo ha già stato sostituito due volte a partita in corso, senza impedirgli di vincere il premio di Mvp Uefa nel match più duro di questo avvio di stagione. L'Inter di Inzaghi è quella in cui ci si aspetta guizzi da tutti, anche da Samir Handanovic che va a saltare di testa nell'area avversaria per provare a pareggiare la prima partita di un girone eliminatorio. Un portiere in attacco non per disperazione, ma per quel senso di improvvisazione che esplode tutto insieme dopo essere stato soffocato in due anni da Conte. Che fu esiliato dall'Europa per uno 0-0 con lo Shakhtar che grida ancora vendetta.
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