Le sensazioni, indubbiamente, sono buone: visto comunque l’andamento delle ultime partite casalinghe e considerata anche la caratura dell’avversario, quanto proposto ieri dall’Inter contro il Napoli non può certo dare adito a recriminazioni. Magari negli ultimi venti minuti di gioco si è pensato più a coprirsi che a tentare l’affondo, ma in questo caso c’è l’alibi degli acciacchi che hanno colpito un paio di giocatori importanti e pensare in queste condizioni di sbilanciarsi contro una squadra che, come ha dimostrato anche a San Siro, sulle ripartenze può essere spietata, sarebbe potuto risultare un atto quasi di auto-somministrazione del dolore. Ma alla fine è un pari che tutto sommato lascia soddisfatti, anche se, e qui c’è il lato oscuro della medaglia, complica nuovamente la corsa al quarto posto vista la contemporanea vittoria della Fiorentina a Bologna. E soprattutto, conferma il tabù dei tre successi consecutivi, una maledizione che ormai rischia di mantenersi fino a fine campionato a meno di un colpo di coda.
E IO AVRO’ CURA DI TE – Un pareggio a reti bianche, un’evenienza che nelle sfide tra Inter e Napoli mancava da venti anni tondi tondi; e oltretutto, le ultime sfide tra le due compagini sono state all’insegna delle tante marcature. Francamente, anche questa gara avrebbe meritato di avere qualche realizzatore a referto, ma alla fine ci si deve accontentare di una partita senza reti e di analizzare soprattutto le individualità espresse. E allora, ecco che balza all’occhio, indubbiamente, la prova maestosa di Mateo Kovacic. Indubbiamente il croato rappresenta l’uomo, anzi, il ragazzo del momento: i periodi difficili sembrano ormai essere definitivamente alle spalle, e quella di ieri probabilmente è stata la migliore prova di Mateo da quando è approdato in nerazzurro. Ispirato e ispiratore, ottimo negli inserimenti, sempre abile a far filtrare il pallone in avanti, a tratti anche meno timido del solito nel puntare la porta; insomma, si fa preferire decisamente ad un Hernanes un po’ appannato. La cura di Walter Mazzarri, alla fine, si sta facendo sentire, e lo stesso allenatore lo ha evidenziato con orgoglio. Nessuna incomprensione, come qualcuno temeva: semplicemente una cura speciale, a tratti dura, ma propedeutica a far uscire il fuoriclasse che c’è nel ragazzo austro-croato.
LASSU’ QUALCUNO MI AMA – Se vogliamo dirla tutta, alla fine, probabilmente, le occasioni più clamorose sono quelle che si divora la formazione ospite: prima, quando José Callejon, gellatissimo pistolero che non lascia scampo alle anime che incontra sul suo cammino quando ha il proiettile in canna, praticamente in posizione da colpo di grazia calcia clamorosamente a lato con Handanovic formato statua di sale; poi, quando Gokhan Inler rivive l’highlight di Miralem Pjanic e del suo gol al Milan e decide di emularlo, ma la sua offensiva finisce stampata contro il palo. Questa volta i miracoli Samir Handanovic non li deve fare lui, ma c’è chi, in quel di San Siro, decide di intercedere per lui. Un destino che soffia sul pallone mandandolo fuori dallo specchio quando non sembra esserci più tempo per la redenzione, e che consente al portierone sloveno di uscire con la porta ancora immacolata, e almeno questa tripletta è riuscita, operando il minimo sindacale per strappare il voto in pagella.
BALLIAMO IL SAMBA – Ormai non ci sono più dubbi: Andrea Ranocchia è ritornato. Sembrava destinato a perdersi nella grigia nebulosa dell’indefinito, condannato all’etichetta di grande talento mai sbocciato fino in fondo, vittima delle proprie ansie e paure; è stato anche vicino a lasciare l’Inter per abbracciare Roberto Mancini e il Galatasaray, ma alla fine nulla se ne è fatto. E considerato il Ranocchia visto nelle ultime partite, viene da dire per fortuna. E’ gigantesca la prova del ragazzo di Bastia Umbra, praticamente perfetta; puntuale nelle chiusure, freddo anche quando si sgancia palla al piede, azzera un pericolo pubblico come Gonzalo Higuain. Per lui la responsabilità era sicuramente doppia, ieri sera, visto e considerato che doveva tenere le redini di un reparto costruito a suon di scelte obbligate, ma la personalità mostrata gli vale una lode aggiuntiva. E a questo punto, se in queste ultime partite il trend dovesse essere confermato, non pensare di portarlo in Brasile per il Mondiale suonerebbe quasi come un delitto, anche solo per premiare questa second life di Ranocchia. Coadiuvato meglio nel suo lavoro da un coraggioso Marco Andreolli (al di là del contrasto, comunque regolare, dopo il quale Higuain è stato costretto ad uscire) che da un Hugo Campagnaro spaesato e a tratti impreciso. La leva italiana all’Inter non si arrende…
STORIA DI PASSIONE – Chiosa sulla coreografia della Curva Nord esposta prima della partita, quella congelata per il derby di andata: i tifosi interisti sorprendono con una citazione colta, un urlo letterario contro il ‘calcio moderno’, quello dell’industria televisiva, attraverso uno stralcio di uno dei testi che rappresenta una pietra miliare della cultura ultras, “Fedeli alla tribù” di John King, scrittore cult nel mondo delle tifoserie soprattutto britanniche. E’ la loro accorata visione, quella del tifo come cuore pulsante dell’intero sistema calcio, motore che non può essere fermato. Un punto di vista giustissimo e assolutamente condivisibile, l’importante che non si sfoci mai in degenerazioni pesanti. E peccato che adesso la Curva rischi una chiusura per la gara interna, per i soliti cori anti-napoletani puntualmente registrati dagli addetti della Lega…
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