Nel corso della lunga intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, Fredy Guarin ha ripercorso anche i suoi anni in nerazzurro, definendo con un aggettivo i quattro allenatori che lo hanno guidato all'Inter: "Claudio Ranieri era un gentleman. L’ho avuto poco, ma ricordo i suoi modi gentili. Andrea Stramaccioni era un amico. Nel senso che essendo poco più grande di noi si comportava come tale e ci piaceva. Ho apprezzato la sua umiltà e la sua determinazione. Non stava mai fermo. Walter Mazzarri? Un insegnante. Uno dei migliori mai avuti. Con lui maturavi molto e lo facevi attraverso un dialogo costante. È uno di quelli che ti dà uno schiaffo, in senso metaforico, ma ti fa capire come mai te l’ha dato. Litigammo un paio di volte in modo serio. La più importante in occasione dello scambio mancato con Mirko Vucinic nel 2014: lui voleva il montenegrino, ma io spinsi fino alla fine per restare. A quei tempi mi davano del traditore, ma io non volevo lasciare l’Inter. Non fu un bel momento, ma fa parte della vita. Alla fine, comunque, rimasi all’Inter e ne fui davvero felice. Non sarei mai andato alla Juventus. Mi voleva già nel 2012, ma io scelsi l’Inter. E non mi sono mai pentito. Il giorno in cui lo scambio saltò parlai faccia a faccia con i dirigenti e gli spiegai mia volontà”.

Ultima battuta su Roberto Mancini: "Un maestro di calcio. Ogni tanto ci scriviamo ancora, gli rispondo che me la cavo". Poi Guarin rivela di sentire ancora Massimo Moratti: "Un secondo padre. Dopo avermi visto segnare il primo gol all’Inter mi invitò a casa sua e parlammo a lungo, di calcio e di vita”. Quando gli viene chiesto di Antonio Cassano, il Guaro si scatena: "Potrei scrivere un libro. Le dico questa: ai tempi di Stramaccioni realizzai un bel gol da calcio d’angolo contro il Napoli. Uno schema preparato in settimana. Prevedeva un mio inserimento da dietro all’improvviso, senza che nessuno se ne accorgesse. Nei giorni precedenti Cassano non riusciva a battere i corner nel modo giusto perché non aveva voglia, ma ci disse di stare tranquilli perché tanto in partita l’avrebbe messa dove voleva lui. E così fu. Un grande. Ricordo anche Rodrigo Palacio: lui soffre di claustrofobia. Ogni volta che prendevamo l’ascensore gli facevamo qualche scherzo. Lui era terrorizzato”.

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Sezione: Focus / Data: Dom 22 settembre 2024 alle 13:57
Autore: Christian Liotta
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