Questa volta è Esteban Cambiasso il protagonista della nuova puntata di Drive Inter, il format di Inter Channel condotto da Nagaja Beccalossi. In viaggio da Appiano Gentile, il Cuchu, vicino al decimo anno di permanenza (arrivò a parametro zero dal Real Madrid nel 2004, ndr), si racconta a 360 gradi. Partendo dagli ultimi anni di Inter: "Diciamo che gli ultimi anni sono stati la consacrazione assoluta, ho raggiunto tutti i sogni che potevo avere al mio arrivo all'Inter, nove anni fa. Neanche il più ottimista poteva pensare a dei trionfi così. Aspettarsi delle difficoltà all'inizio è normale, poi tutto è più in discesa. Siamo arrivati quasi sempre in crescendo, conquistando prima una Coppa Italia, poi Supercoppa, ancora Coppa Italia e quindi lo scudetto a tavolino. Poi, tutti i successi e il massimo: la stagione del Triplete con il Mondiale per Club nell'anno successivo. Poi non abbiamo centrato gli obiettivi per un anno, può starci anche se è dura abituarsi quando vinci tutto. Quando le cose non vanno è facile arrabbiarsi, mentre è più difficile fare un Triplete storico conquistato come nessuno mai in Italia. Un'impresa difficile, insomma. Abbiamo lasciato l'asticella altissima e c'erano tante aspettative. Crespo mi disse che non tutte le stagioni iniziano col ritiro e finiscono con un pullman scoperto a festeggiare: io ho vinto in otto stagioni su nove all'Inter, quindi Hernan mi disse una frase vera: quando ti abitui è difficile non farlo, però alla fine vince soltanto uno. Anche se non vuoi mai saperne di perdere".
Si avvicina il decimo anno per Cambiasso: "Se ripenso al giorno della mia presentazione, quando c'erano uno o due giornalisti... Addirittura le domande che mi facevano avevano un senso del tipo: 'Cosa sei venuto a fare?', e io risposi dicendo che volevo solo fare del mio meglio ed aiutare l'Inter a raggiungere quei successi che in passato non arrivavano. Per fortuna, non pensando nemmeno di fare così tanti anni perché in quel momento era impossibile, sono riuscito a fare tutto quello che volevo fare e realizzare tutti i sogni che ho fatto per l'Inter". E se dovesse ricapitare quel momento oggi? "Penso che dalla mia parte sarebbe esattamente tutto uguale, magari con più gente e parlando in italiano... L'importante, però, era avere al mio fianco Giacinto Facchetti, sin dal primo giorno in cui sono arrivato". E a proposito di Facchetti, Cambiasso si lascia andare ad un ricordo della persona: "Era uno che preferiva fare piuttosto che dire, bisognava capirlo coi fatti piuttosto che con le parole. Parlava poco, semplicemente se lo vedevi fare qualcosa capivi che faceva la cosa giusta e mai quella sbagliata. Era un esempio".
Cambiasso riavvolge il nastro tornando ai tempi del Real Madrid: "Ho avuto un percorso strano. Avevo fatto il settore giovanile della nazionale argentina con qualche anno in anticipo con le varie Under, nel 1995 sono venuti a casa mia i dirigenti dell'Ajax che volevano portarmi in Europa. Il discorso fu molto più familiare che sportivo, come scuola di calcio l'Ajax è una scuola di calcio tra le migliori in assoluto: io dissi di no. Poco tempo dopo, ha bussato il Real Madrid. E il discorso cambiava, non tanto per la grandezza della società che tutti conosciamo, ma anche per un discorso di ambientamento e paure che si possono avere, anche dai genitori. E ora che sono papà posso immaginare tutto. Amsterdam portava dietro più dubbi, Madrid invece ha facilitato tutto. Sono stato lì con mio fratello, ero in squadra B del Real lavoravamo già con la prima squadra, conoscevamo giocatori di spessore. Dopo due anni mi sembrava di poter giocare in prima squadra, ho avuto l'occasione di tornare in Argentina. Credevo di essere praticamente fermo alla squadra B del Real, non si progrediva. Vivevo uno stop che non mi piaceva. Poi ci sono state richieste di prestito dall'Argentina e l'Independiente mi ha preso grazie all'intervento dell'allenatore".
Poi, il Cuchu è tornato in Europa: "Ho fatto quattro anni in Argentina tra Independiente e River Plate. Da lì sono tornato al Real Madrid che ha voluto puntare su di me, in un Real campione d'Europa in carica. Esordii in Supercoppa a Montecarlo, mi sentivo un pezzo di una squadra galattica che aveva vinto la Champions. Tutte cose che ti rimangono". Ma un Cambiasso scuola Ajax come sarebbe stato? "Il pallone nella scuola Ajax è la cosa più importante che c'è - spiega Esteban -, se hai il pallone è più probabile far gol e meno probabile prenderne. Poi, il fuori campo ovvero il modo di vivere il calcio all'Ajax e dei giovani dell'Ajax mi sarebbe anche piaciuto". E tornare in Argentina stuzzica, "mi piacerebbe ripassarci in famiglia. La famiglia vive in questi posti dove può creare un ambiente di amicizia e sicurezza, come all'Argentinos Juniors. Ho grandi amici e vado a trovarli spesso".
Capitolo trofei conquistati: "Li ricordo quasi tutti - le parole di Cambiasso -, anche quelli che ho sfiorato. Penso alle finali di Coppa Italia perse con la Roma, all'inizio pareva potesse anche sfuggire la Coppa se vincevi lo Scudetto. Ma invece c'è rimorso. Il trofeo a cui sono più legato? Non posso non nominare il Mondiale Under 20. Volevo arrivare in fondo, avevo 16 anni e ho anche segnato in finale. Mi rimarrà dentro per sempre. Se devo fare un podio, dico anche il primo scudetto vinto sul campo con l'Inter a Siena. Sapevo quanto la gente aspettasse lo scudetto. E poi la Champions League, inevitabile. Se lo scudetto era aspettatissimo, la Champions era un sogno massimo forse meno aspettato". Ma Cambiasso sognava l'Italia da ragazzino? "Diciamo che è successo tutto velocemente, non ho sognato o immaginato tanto. I sudamericani però vogliono l'Europa, Italia o Spagna sono i Paesi più vicini a noi. Io per quello dissi no all'Ajax. Al Real ho detto sì, anche all'Inter avrei detto sì essendo la stessa situazione. Ma quando c'è stata l'occasione di arrivare all'Inter potevo pure andare in Russia, ma mi ha convinto l'opzione di poter vincere tutto qui e lo abbiamo fatto".
E le origini di Esteban sono liguri: "Sono stato nella cittadina, poi ho chiuso il cerchio con una figlia nata in Italia. Tante cose mi legano a questo Paese: quando parto dall'Italia mi manca. Gli amici che ho qui, la casa, tante cose mi mancano. Come anche quando saluto Buenos Aires per raggiungere Milano". Sul discorso futuro da allenatore: "Io penso a oggi, è più un pensiero di chi mi conosce e di chi mi immagina da allenatore piuttosto che un mio pensiero. Devo prepararmi per fare qualsiasi cosa dopo aver giocato, così come mi sono preparato per fare il calciatore. Qualsiasi ruolo da fare dopo il calcio giocato va studiato e preparato, non si passa dall'altra parte così a caso. Penso che oggi come oggi l'allenatore deve mettere undici giocatori in campo, ma anche tenere a bada una serie di situazioni difficili che nessuno conosce. La difficoltà massima è seguire i giocatori, sapere come vivono, chi sono, come si allenano, che problemi hanno. Ogni giocatore è diverso e ha le sue problematiche non solo calcistiche. Bisogna essere attenti a tante cose".
Il rapporto di Cambiasso con i gol, un vizietto speciale? "I gol sono l'emozione massima, la cosa più bella del calcio. Bisogna esultare e non riuscirei a non farlo. Mi piace fare gol e cercarlo, spesso poi le mie reti arrivano in momenti in cui la squadra perde o pareggia anche perché quando sei in vantaggio da centrocampista non tendi ad andare in attacco. I gol alla Cambiasso? Sono brutti (ride, ndr). Tutti i gol valgono uno, ce ne saranno di più belli o meno, ma alla fine anche i gol brutti contano. Finché non cambiano regolamento... (sorride, ndr)". E Cambiasso svela il gol... più brutto: "Il più brutto lo feci in girata di destro al Genoa, con deviazione. Un 1-0 pesante e me lo tengo". E giù una risata, tra presente e futuro. Questo è Esteban Cambiasso: un pezzo di storia.
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