Intervista della Gazzetta dello Sport a Pierluigi Orlandini, l’uomo che nel 1994 decise la finale degli Euro Under-21 con il golden-gol contro il Portogallo. Orlandini è transitato anche dall'Inter, sebbene senza troppa fortuna.

Quand’è che ha detto «sì, ce l’ho fatta»?
«Il giorno dell’esordio: 20 gennaio 1991, Atalanta-Torino. In panchina c’era Pierluigi Frosio. Ricordo il boato dello stadio e i miei genitori in tribuna, vicini. Piangemmo insieme».

Come a Montpellier, il 20 aprile 1994?
«Le persone, in particolare i bambini, mi fermano ancora per chiedermi di quel gol».

Le ha cambiato la vita, vero?
«Certo, e lo segnerei ancora, ma a distanza di più di trent’anni ci tengo a ribadire che la mia carriera non iniziò lì: giocavo già in Serie A e in Europa, avevo conquistato una promozione con il Lecce ed ero titolare nell’Atalanta, dove avevo chiuso l’anno come uno dei migliori esterni».

Ci fotografi quel gruppo.
«Il più serio era Beppe Favalli. La testa di un adulto nel corpo di un adolescente. Il capobanda, invece, era Dario Marcolin, il re degli scherzi. E poi ricordo Pippo Inzaghi e i suoi mille riti».

Nel Portogallo c’erano Figo e Rui Costa.
«Sì, e giocavano già in squadre importanti. Dei nostri quasi nessuno aveva assaporato certe vette. Vieri giocava a Ravenna, Inzaghi a Verona, Toldo in Serie B a Firenze. Già all’epoca le big facevano fatica a puntare sui giovani, non solo ora. In semifinale, comunque, buttammo fuori la Francia di Zidane e Dugarry. Il Portogallo era favorito, ma noi eravamo... noi».

Nell’estate del 1994 la volevano in tanti.
«Ero l’unico con cui l’Atalanta poteva fare cassa. Eravamo retrocessi, servivano i soldi, così andai all’Inter per 3,5 miliardi. Mi cercarono Genoa, Cagliari e Lazio, ma ho combattuto fino all’ultimo per restare a Bergamo. Quando capii che avevano necessità di vendere, allora partii».

Il bilancio delle due stagioni all’Inter?
«La prima bene. Ottavio Bianchi mi preferì a Torrini: era un burbero dal cuore d’oro, ma ci trovavamo. Con Roy Hodgson invece le cose cambiarono in fretta e trovai poco spazio».

Il più forte chi è stato?
«Roberto Baggio, incrociato a Brescia. Ogni tanto a fine allenamento mi faceva vedere come calciava le punizioni. Aveva un’aura malinconica dovuta agli infortuni e alle cicatrici sulle ginocchia, ma ricordo un’umiltà mai vista. Un fenomeno gentile».

Sezione: Rassegna / Data: Lun 20 gennaio 2025 alle 12:28 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni
vedi letture
Print