Che cos'è successo all'Allianz Stadium tra il primo e il secondo tempo? Perché l'Inter dopo l'intervallo ha cambiato atteggiamento e ha accettato di subire le iniziative della Juventus, che ne ha approfittato per alzare il baricentro? Come mai questo calo inatteso dopo un primo tempo di predominio territoriale e almeno 6 opportunità tra palle gol reali e potenziali? La squadra nerazzurra ha abituato a certe pause solitamente dopo l'ora, ora e dieci di gioco, quando più per necessità che per volontà si abbassa lasciando il pallino del gioco agli avversari. Ma stavolta la fase di stanca è arrivata subito, al punto costringere Simone Inzaghi a intervenire anche in modo netto sulla formazione, preoccupato dall'evoluzione della gara: fuori Alessandro Bastoni, Mehdi Taremi e Federico Dimarco, dentro Carlos Augusto, Marcus Thuram e Nicola Zalewski. In particolare, lascia perplessi la sostituzione del centrale difensivo, che stava tenendo bene il campo e sui palloni alti poteva essere ancora prezioso. Che non si trattasse di una questione fisica, lo svela la reazione poco entusiasta di Bastoni stesso al momento dell'uscita dal campo.
Fatto sta che nonostante le forze fresche in campo l'Inter non migliora e fatica a riprendere il discorso interrotto all'intervallo, aumentando le aspettative della squadra di casa che prima della mezz'ora trova, anche in modo fortuito, la rete del vantaggio dopo aver rischiato più volte nel primo tempo di capitolare. Un gol quello di Francisco Conceiçao, che rappresenta una sorta di choc per gli ospiti, ai quali è necessario del tempo prima di ricomporsi e tentare un assalto finale, che però non porta agli esiti sperati. Sconfitta pesante, cocente, che impedisce all'Inter di superare il Napoli in vetta alla classifica, le fa addirittura perdere un punto e, soprattutto, certifica un bilancio deficitario negli scontri diretti di questa stagione. In particolare, tra Napoli, Atalanta, Milan, Juventus, Lazio e Fiorentina, le squadre più in alto in graduatoria, i nerazzurri hanno raccolto 3 vittorie, 3 pareggi e 3 sconfitte. E il calendario ha in serbo ancora le sfide contro il Napoli e l'Atalanta in trasferta e la Lazio in casa.
In parole povere, rispetto allo scorso campionato in cui non c'era differenza tra scontri diretti e altre partite, tendenzialmente vinti tutti o quasi, in quello attuale l'Inter sta facendo enorme fatica. Vuoi perché le avversarie si sono rinforzate, vuoi perché i nerazzurri hanno perso qualcosa per strada, con molti dei loro punti di riferimento che non sempre hanno offerto il contributo atteso. Si torna sempre al solito discorso: il calcio di Inzaghi richiede un significativo dispendio di energie, perché non prevede fasi di staticità e tutti i giocatori vanno a occupare costantemente altre posizioni. Così si spiega il fatto che a metà secondo tempo la squadra debba rifiatare fisicamente e mentalmente e concedere il possesso agli avversari. Non è una novità, per questo i primi cambi arrivano dopo circa un'ora, per far riposare chi ha le pile scariche. Il problema nasce quando nella fase precedente della gara l'Inter non ha già messo le cose apposto e può provare a gestire il risultato. In tal caso, il rischio di scoprirsi e subire il gol è dietro l'angolo, perché la priorità è sempre vincere e provarci con la maggior parte dei giocatori in riserva è un azzardo spesso pagato a caro prezzo.
Ieri sera contro la Juventus l'Inter avrebbe potuto e dovuto chiudere il primo tempo in vantaggio, per sistemare la gara nei binari ideali. Invece è rimasta colpevolmente a secco, permettendo agli avversari di guadagnare metri e fiducia. I cambi, a parte Zalewski, non hanno fatto la differenza e la squadra ha reagito solo dopo che il latte era stato versato. Il primo problema emerso è che in certe partite sprecare così tanto è delittuoso, perché non è detto che si possano avere altre opportunità in corso d'opera. Il secondo è che l'Inter attraversa fin troppo spesso delle fasi di gara in cui si siede e, nonostante le sostituzioni, fatica ad alzare il baricentro a meno di una reazione nervosa che contro il Milan ha portato a un meritato 1-1, ma in altre occasioni è rimasta sterile. Non è un caso se in questa stagione la squadra non abbia mai saputo ribaltare uno svantaggio e vincere. C'è poi il discorso sull'impatto dei cosiddetti co-titolari e sulla fiducia limitata di Inzaghi nei confronti di molti di loro: spesso scende in campo un titolare anche se non è al massimo e alla lunga queste decisioni si pagano.
Non è ancora tempo però per i funerali, il calendario propone altre 13 partite e e 39 punti in palio. Già sabato l'Inter potrebbe virtualmente, battendo il Genoa al Meazza, superare il Napoli in testa alla classifica, mettendo addosso ai partenopei la pressione di dover battere a tutti i costi il Como il giorno dopo all'ora di pranzo. C'è grande rammarico di sicuro per la battuta d'arresto allo Stadium, per il modo in cui è avvenuta, per il valore emotivo della partita e per le conseguenze sulla lotta Scudetto. Ma i nerazzurri sono ancora in piena corsa per raggiungere l'obiettivo, e lo scontro diretto del 2 marzo al Maradona poitrà dire molto. Bisogna però cercare di apportare dei correttivi, soprattutto a livello mentale. Se è vero quello che ha ammesso Henrikh Mkhitaryan, che la squadra si sente superiore e a volte non dà il 100%, è il momento di prendere atto della realtà: l'Inter è fortissima solo quando lo dimostra sul rettangolo di gioco. Gli Scudetti non si vincono sulla carta. E se le lezioni contro Fiorentina e Juventus non sono state sufficienti a svegliare il gruppo nerazzurro e a riportarlo alle proprie responsabilità, allora l'esito di questa stagione è già scritto.
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