Oggi la Gazzetta dello Sport ha intervistato Ruggero Radice, figlio di Gigi, allenatore anche dell'Inter nonché dell'ultimo Torino scudettato.

Nell’iconografia del calcio suo padre viene inserito tra i “sergenti di ferro”. Concorda?
"In parte. Se sergente di ferro vuol dire essere coerente, rispettoso delle regole, professionale, intransigente, allora sì. Ma preferisco descrivere papà come una persona buona, che dava fiducia e otteneva risultati".

Dici Radice, dici Toro campione d’Italia. Lei cosa ha ereditato di quell’impresa?
"Innanzitutto la fede: io e le mie sorelle siamo del Toro a vita. Negli anni dello scudetto ero un bimbo e ho ricordi frammentati, tipo papà che mi porta al Filadelfia a conoscere Pulici, Graziani e gli altri, ma diventai davvero granata quando tornò, dal 1984 al 1988. Chi segue il Toro lo sa: quella squadra era forte, divertente, riconoscibilissima dal gioco e dall’atteggiamento. Non voglio togliere nulla a nessuno dei grandi allenatori della storia granata, ma quando si parla di cuore Toro, per me si parla di quel Toro".

Non solo lo scudetto e le vittorie: Radice è nei cuori granata anche con una frase...
"“Meglio secondi che juventini”. Era il campionato 1976-77, Juve 51 punti e Toro 50, perdemmo una volta sola e avevamo la miglior difesa. Un anno perfetto tranne quel maledetto punto...".

Suo padre non lo amava solo il mondo Toro...
"A Roma è stato solo un anno ma la gente ancora si ricorda. All’inizio lo contestavano, Viola fece un mercato sottotono e papà era considerato un ripiego, ma quella squadra fu straordinaria nel saldarsi attorno a lui. Si giocava al Flaminio, stadio piccolo, che lega calciatori e popolo. Ricordo il derby vinto con gol di Voeller, e un saluto finale commovente con uno striscione: “Un uomo solo al comando, 11 leoni al suo fianco, la sua maglia è giallorossa, il suo nome è Gigi Radice”. Abbiamo la gigantografia a casa. E prima ancora all’Inter. Pellegrini prese il club da Fraizzoli, tutti sapevano che papà non sarebbe stato confermato ma lo spogliatoio era dispiaciutissimo, in primis lo zio Bergomi. La stagione iniziò male, un punto nelle prime quattro, alla quinta il Napoli in casa. Altobelli segnò nel finale e tutti, dal primo all’ultimo, corsero ad abbracciare papà. Ecco, nel calcio di oggi io una squadra intera che va ad abbracciare un allenatore non la vedo".

Sezione: News / Data: Mer 19 febbraio 2025 alle 16:33 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni
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