Ospite di Fedez per la prima puntata del 2024 del podcast "Wolf - Storie che contano", Beppe Marotta, amministratore delegato dell'Inter, comincia l'intervista facendo una battuta di fronte alla considerazione del cantante: "Moggi dice che l'Inter vincerà lo scudetto quest'anno? Mi tocco, eh eh eh".
State spaccando in campionato, concorda?
"Dire così è troppo, siamo in una fase interlocutoria".
Come nasce il Marotta dirigente?
"Io ero appassionato di calcio, poi ho avuto la fortuna di abitare vicino allo stadio del Varese. Già all'epoca, con il capo magazziniere, appresi l'arte della negoziazione perché lui mi faceva assistere agli allenamenti ma in cambio io dovevo pulire le scarpe e sgonfiare i palloni. E' stata una grande palestra di vita".
Di cosa si occupava a Varese?
"Mi ero iscritto a Giurisprudenza, nel frattempo ho avuto l'opportunità di dirigere il Settore Giovanile. Era la cosa più bella che potesse capitarmi a quell'età".
Talento o applicazione, cosa è più importante?
"Tutte e due. Ho avuto la possibilità di avere alla Juve Cristiano Ronaldo, l'icona per antonomasia. Tornando al made in Italy, ho avuto Buffon, Chiellini, Pirlo, Barzagli... Quelli erano campioni veri che lo sono diventati nel corso degli anni".
Rifarebbe l'affare che ha portato CR7 alla Juve?
"Se n'è parlato tanto, anche di un attrito tra me e la presidenza che avrebbe portato alla risoluzione del mio contratto con la Juve. Forse, in quel momento, il suo apporto non risultava determinante come tutte le aspettative dicevano. Il calcio è fatto di queste cose".
Perché ha lasciato la Juve?
"Quando si arriva a una certa età, è giusto dare spazio ai giovani. Alla Juve c'era una realtà dirigenziale fatta di giovani molto bravi, in primis il presidente Andrea Agnelli. E' giusto che abbiano voluto impostare il rinnovamento, fu un cambiamento fisiologico. Il mio apporto con Agnelli è ottimo".
Come è stato passare dalla Juve all'Inter?
"Quando sono arrivato mi vedevano come il 'gobbo', devi avere pazienza e tempo per accreditarti. Come capita nello sport, i risultati ti danno ragione. Per fortuna e merito, non so, da quando sono arrivato l'Inter ha ottenuto risultati. Quindi credo di essere simpatico a gran parte degli interisti".
L'esperienza che l'ha formata di più?
"Ho imparato molto in ogni società, crescendo anche come uomo perché ho iniziato a 20 anni. E' stata una crescita lenta, sono partito dalla provincia, con una bella gavetta. Il momento più toccante è quando vinsi il campionato di B con il Venezia, abbiamo festeggiato sul Canal Grande sul Bucintoro del Doge: lì ho toccato il cielo con un dito. Dicevo di essere appagato, ma non era vero Poi ho alzato l'asticella e ho avuto altre soddisfazioni".
Ora quale è l'obiettivo?
"Oggi guardo soprattutto all'aspetto umano. Ho ricevuto molto dalla vita e dal calcio in particolare, è giusto che io dia qualcosa. Ho rinnovato da poco con l'Inter, devo ringraziare il presidente Zhang per questo. Credo che quando finirò di lavorare nell'Inter mi dedicherò allo sport come fenomeno sociale. L'Italia è indietro rispetto al resto d'Europa, vorrei che i nostri figli possano giocare gratuitamente. Se si paga, vuol dire che il sistema scolastico non funziona".
Comprare un club di calcio è anti-economico?
"Nel calcio non si guadagna. I presidenti si avvicinano a questo mondo per passione, ne conosco tanti che si sono rovinati economicamente. La società di calcio è un'azienda privata di interesse pubblico perché ne possono parlare tutti. Quando tu tifi per una squadra, partecipi emotivamente al suo destino e diventa un motivo di vita. Di conseguenza non è possibile guadagnare ma si può non perdere attraverso la sostenibilità".
Record di punti in campionato con la Juve, cosa vinci oltre allo scudetto?
"Ne abbiamo fatti 102, ma non vinci niente. E' stato un periodo magico. Io non sono stato un attore protagonista, ma un comprimario. E' stata una squadra fortissima, di tanti campioni e allenatori, di una grandissima società".
I capitali esteri nei club italiani.
"Oggi la presenza straniera in Italia è forte. A Milano ci sono due grandissime società che sono nelle mani di un cinese e di un americano, e dico meno male con un grande ringraziamento per quello che mi riguarda. Se non ci fosse stata la famiglia Zhang, non so cosa sarebbe successo dell'Inter. Si sono susseguite due-tre proprietà. C'è la necessità di prendere capitali dall'estero che diano la possibilità di svolgere l'attività".
Ha rinnovato fino al 2027 con l'Inter, avrete uno stadio tutto vostro?
"Avrò 70 anni, di cose ne ho viste e passate... Noi abbiamo l'idea Rozzano. Se ha senso fare due stadi? La risposta è una piccola bugia bianca: lo stadio è dove si trasmette il senso di appartenenza ma ci sono anche grandi vantaggi economici. San Siro va rispettato come icona, è stato un contenitore di emozioni e di passioni. Ma bisogna essere anche cinici, a volte, pensate a cosa è successo a Wembley. Se fossimo stati proprietari di San Siro, avremmo potuto superare le problematiche burocratiche che esistono solo in Italia. Quindi non c'è certezza del domani, ecco perché le due società si sono aperte due strade. Nelle varie ipotesi c'è anche quella di uno stadio in comune, ma sarebbe uno scenario unico. E' una nostra esigenza lo stadio, speriamo di risolverla".
L'Arabia Saudita è una bolla?
"Il mondo arabo non è una bolla perché contiene una ricchezza indecifrabile. I soldi aiutano, anche se non sono tutto. Poi, come dico sempre, non è vero che chi più spende più vince, ma se abbini la disponibilità economica alla competenza...".
Cosa ne pensa delle Curve?
"Sono un fenomeno passionale, rappresentano una parte di tifo molto positivo. Poi si verificano delle situazioni che succedono nella vita quotidiana. Ormai gli atti di violenza all'interno dello stadio sono nettamente diminuiti rispetto agli anni '70 e '80".
Il campione più iconico di Juve e Inter?
"Come appassionato di calcio, dico che i più iconici sono stati Sivori e Del Piero per la Juve. Dell'Inter dico Sandro Mazzola, il giocatore migliore dagli anni 60' agli anni 80', mentre negli ultimi tempi Zanetti, capitano del Triplete".
L'allenatore italiano più forte della storia?
"Intanto il ruolo dell'allenatore si è evoluto tantissimo, sono in parte piccoli imprenditori. Dico Ancelotti, per la varietà dei titoli che ha vinto in tutti i Paesi in cui è stato. Sacchi? E' stato un innovatore, dando il via a un calcio diverso".
Quando si capisce che un club ha soldi ma ha perso l'anima?
"Lo si capisce dalla mancanza di leadership che deve sempre esserci. Quando non c'è omogeneità nello spogliatoio c'è dispersione di valore. Di solito il leader è l'allenatore, poi dipende dalla personalità dei giocatori nello spogliatoio. Io ho avuto due leader alla Juve: Buffon parlante, Pirlo silenzioso".
Il sogno di mercato: chi compreresti, se arrivasse Zhang con un pacco di soldi? Dimmene tre.
"Difficile fare nomi, ne dovrei fare trenta. Ce ne sono tanti, dico solo il concetto col quale lavorerei: non punterei solo su un giocatore, ma su diversi giocatori, Ma ora è una squadra forte, quindi sarebbe una mancanza di rispetto dire qualche nome. Non posso, non posso".
Fedez, infine, si improvvisa consulente di mercato di Marotta.
F: "Chi abbiamo in attacco?
M: "In attacco ne abbiamo di forti, Lautaro e Thuram".
F: Io prenderei Haaland".
M: "Hai scelto proprio il migliore".
F: "Prenderei Bellingham, non so chi sia ma è fortissimo".
M: "E' fortissimo"
F: "Ma quanto costano?".
M: "Non c'è prezzo, penso 250-300 milioni. Poi dipende sempre se il venditore vuole cedere".
Moggi mi ha detto che l'Inter vince lo scudetto perché avete la rosa lunga.
"Sì, abbiamo un organico numerosamente competitivo con due giocatori importanti per ruolo".
Piccolo aforisma finale
"Nella vita sportiva bisogna avere dei sogni, ma siccome i sogni non si possono realizzare bisogna avere la capacità di trovarne sempre di nuovi".
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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