In tempi di sosta per le Nazionali l'agenda setting generalmente propone argomenti di varia natura giusto per 'ammazzare' il tempo in vista della riapertura delle danze. E anche in questo caso, al di là della sconcertante bellezza della prestazione dell'Italia al Parco dei Principi (allora il blocco Inter non è una figura mitologica...), la materia prima non manca. Sicuramente la lista dei candidati al Pallone d'Oro 2024 ha attratto parecchio interesse ed è un piacere che vi siano tre nerazzurri in lizza. Oltre all'ampiamente prevedibile Lautaro Martinez, ecco Hakan Calhanoglu e un po' a sorpresa, ma con pieno merito, Yann Sommer (in corsa per il premio Yascin). Peccato per l'assenza di Nicolò Barella o Alessandro Bastoni (ottimo anche ieri contro la Francia), che probabilmente pagano la scarsa visibilità agli Europei con la Nazionale azzurra, uscita con troppo anticipo e poca gloria dalla competizione. Così come tra le squadre dell'anno non figura l'Inter, giustamente e per la stessa ragione: dominio in Italia, eliminazione precoce in Champions League, che evidentemente conta di più: sasso batte forbice, o forbice batte carta, fate vobis.
Legittima anche l'assenza di Simone Inzaghi dalle candidature come allenatore dell'anno. Se il criterio sono i successi in ambito internazionale o quanto meno il percorso nelle competizioni europee, c'è chi ha fatto meglio di lui. Lo stesso Gian Piero Gasperini ha conquistato l'Europa League e ha meritato la 'convocazione'. Proprio quel Gasp rullato da Inzaghi pochi giorni fa. Ma è un'altra storia. In linea di massima, comunque, gli allenatori in corsa per il premio non sono lì per caso, a parte... Sarà una blasfemia, ma se al posto di Pep Guardiola fosse stato scelto Inzaghi nessuno si sarebbe scandalizzato. Chiaramente è una provocazione, nessuno mette in dubbio le capacità dello spagnolo e il fatto che possa serenamente prenotare un posto nella lista del Pallone d'Oro anche per i prossimi anni. Però, ragionandoci: in Champions il suo Manchester City è uscito con grande rammarico ai quarti di finale contro il Real Madrid ai rigori. In Premier, vabbè, ennesima vittoria. L'Inter ha salutato la Champions con lo stesso rammarico, sempre ai rigori, nel turno precedente contro l'Atletico Madrid. In Italia ha stravinto il campionato, quello della seconda stella, che ha avuto un'eco mediatica internazionale e non indifferente. Due percorsi molto somiglianti tra loro.
Quale potrebbe essere la discriminante, rimanendo nell'ambito puramente teorico e giocandoci un po' su? La qualità del calcio proposto. Eh no, perché il City gioca davvero bene, rispettando la filosofia del proprio allenatore che sa occupare gli spazi con meticolosità estrema. E i nerazzurri, come ricordato agli smemorati nella partita contro l'Atalanta, nell'ultimo anno hanno letteralmente musicato il gioco del pallone, esibendosi in un calcio fluido scevro da ogni limite tattico. Perché pur partendo dal 3-5-2, giusto per gli amanti delle fanta-formazioni o dei videogiochi, in campo succede di tutto e di più. Due squadre, City e Inter, che riempiono gli occhi, soprattutto quelli super partes, di chi ama questo sport. E che tra qualche giorno si sfideranno in Inghilterra nel match d'esordio in Champions League.
Perché allora se Inzaghi fosse nella lista al posto di Pep non sarebbe un'oscenità? Le vittorie stagionali si equivalgono, l'espressione in campo è piacevolissima. Quindi? Diciamo che Guardiola ha potuto costruire la sua squadra a propria immagine e somiglianza, disponendo di capitali enormi e limitandosi a scegliere chi volesse a sua disposizione (e quelle 115 violazioni del FFP sono il punto esclamativo sul concetto). Tanta roba. Il Demone di Piacenza, invece, solo questa estate non è stato costretto a salutare uno dei suoi punti di riferimento per sistemare il bilancio e adoperarsi nel player trading. Due 'gestioni' della costruzione delle rose quasi opposte, in cui un allenatore deve limitarsi a scegliere e l'altro a sperare. In cui uno va dritto su giocatori di livello internazionale e l'altro li crea lavorandoci su.
Domanda spontanea: merita più consensi uno chef che prepara un pasto gourmet con pochi ingredienti a propria disposizione o uno chef che ha la dispensa strabordante di materie prime di qualità altissima? Se fossimo a Masterchef sarebbe un invention test, ma il ragionamento è forse troppo elaborato e retorico per influenzare la scelta dei candidati al Pallone d'Oro, com'è giusto che sia. E questo discorso, sia chiaro, non mira a confrontare le carriere di Pep e Simone, ci mancherebbe, ma è una semplice riflessione su quest'annata calcistica e su quanto visto sul rettangolo di gioco.
L'augurio per Inzaghi è che, attraverso il proprio lavoro sul campo, possa anche solo avvicinarsi al palmares di Guardiola e avere anche solo metà dell'influenza dello spagnolo su questo gioco. Meglio se alla guida dell'Inter, ci mancherebbe. E chissà che non possa diventare una figura fissa nella griglia dei tecnici candidati al Pallone d'Oro.
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