Javier Zanetti è l'ultimo protagonista del podcast 'Passa dal BSMT', format proposto sul canale YouTube di Gianluca Gazzoli. "Una cosa che mi fa molto piacere è sentire il rispetto di tutti, non solo dei miei tifosi. Questo vuol dire che uno ha fatto la carriera in una certa maniera e continua a cercare di ispirare soprattutto i più giovani", esordisce il vice presidente dell'Inter e storica bandiera nerazzurra.
I SOPRANNOMI - "In tanti mi chiamano Pupi perché è un soprannome che porto dall’Argentina da quando ero piccolo, me lo ha messo il mio allenatore. Poi ho messo questo nome anche alla mia fondazione in Argentina, lavoriamo con tanti bambini. Il motivo del soprannome? Io mi chiamo Javier e in quella squadra lì ce ne erano tanti che si chiamavano così: questo allenatore aveva avuto mio fratello come calciatore e lo chiamava Pupi, quindi anche a me hanno iniziato a chiamarmi Pupi e mi è rimasto. Non esistono argentini senza soprannome. Se ne ho mai dato io? A Walter Samuel, il muro, The Wall, l’ho dato io".
L'ARRIVO ALL'INTER - "Ormai mi sento italiano, sono 28 anni che sono qui, però l’Argentina è la mia terra ed è lì che parte il mio sogno di diventare calciatore. Arrivare in Italia per me è stata una grandissima opportunità. Non nascondo che era un’ambizione, un sogno. Quando facevamo i primi passi da calciatori in Argentina guardavamo le partite di Maradona che giocava a Napoli e credo che in quel momento lì e anche in questo momento il calcio italiano sia molto ambito. Confrontarti con grandi campioni per noi giovani era una grandissima opportunità. La mia carriera è stata molto veloce: inizia in Argentina e dopo due anni mi arriva questa opportunità di venire all’Inter, in quel momento non ci potevo credere. Avevo vent’anni. In quel momento lì potevano giocare solo tre stranieri e l’Inter aveva comprato Paul Ince, Roberto Carlos, Rambert e io ero il quarto straniero. Io ero lo sconosciuto. Ricordo la presentazione alla terrazza Martini a luglio, arrivo con le mie scarpe (sotto il braccio, ndr): tutti i giornalisti mi guardavano e non sapevano chi ero. Quando sono arrivato in Italia ho trovato il mio posto nel mondo, mi sono innamorato subito e qui ho potuto completare il mio percorso di crescita come calciatore e come uomo. Da lì la mia carriera all’Inter. Con i tifosi c’è stato subito feeling perché mi vedevano come un bambino che faceva i primi passi, tutti mi volevano proteggere e aiutare e questo l’ho sentito. È stata la prima cosa che ho sentito quando sono arrivato al primo allenamento ad Appiano e che l’Inter per me è una famiglia. E questo l’ho percepito subito".
IL RUOLO DI VICE PRESIDENTE - "Quando ho deciso di smettere io volevo fare qualcosa legato al calcio e, se potevo, continuare questo legame con l’Inter. Non nascondo che quando l’Inter mi informò che avrei fatto il vicepresidente ero felicissimo, però allo stesso momento avevo una grandissima responsabilità. È una delle squadre più importanti al mondo e quindi questo ruolo richiede la preparazione. Ci ho pensato un po’, poi conoscendomi ho detto ok. La mia carriera da calciatore è durata fino a quasi 41 anni e dopo tanti chilometri ho deciso di intraprendere questa avventura da manager, iniziando completamente da zero. Mi dovevo preparare perché non volevo essere un dirigente legato solo alla parte sportiva, volevo una visione a 360°, e poi non volevo che il ruolo mi venisse garantito per quanto avevo fatto in campo. Volevo guadagnarmelo. Mi sono iscritto alla Bocconi e spero di poter dare la tesi a maggio, quello mi ha aiutato tantissimo perché sinceramente ho scoperto tantissime cose che facendo il calciatore non potevo conoscere. La cosa più bella è che facendo questo ruolo mi sento utile in tutte le aree del club e posso dare il mio contributo. Ringrazio l’Inter perché in questi anni da calciatore mi ha dato tanto, ma anche perché quando mi ha dato il ruolo di vicepresidente avevo la necessità di prepararmi. Quando loro hanno visto questa mia voglia di impormi anche come manager però avendo una preparazione dietro, anche loro mi hanno affiancato per fare questa preparazione. È un percorso che facciamo insieme perché questo può portare benefici anche al club".
L'ADDIO AL CALCIO - "Non è semplice prendere la decisione di smettere, prima di smettere lo devi pensare un po' prima. Io mi sono rotto il tendine d’Achille quasi a 39 anni e non volevo smettere in quella maniera, tutti pensavano fosse la mia fine perché era un infortunio grosso. Ora è successo a Berardi e gli auguro una pronta guarigione. Io ho deciso di tornare in campo bene davanti ai miei tifosi da protagonista, per poi smettere e iniziare questa nuova avventura. Quando sono tornato in campo mancava un quarto quarto d’ora alla fine della partita contro Livorno, abbiamo vinto e io mi sono sentito molto bene. Sono andato a fare la doccia e ho pensato per la prima volta 'ok, questa è la mia ultima stagione'. Avevo superato un’altra difficoltà importante, la mia testa era già proiettata al dopo. Per smettere la decisione la deve prendere il giocatore e secondo me è meglio smettere quando stai bene. Bisogna avere l’intelligenza e l’umiltà per dire basta. È molto difficile quando per 25 anni fai questo, però arriva il momento per tutti e credo che ognuno lo senta dentro e deve fare questo passo".
IL LIBRO - "Nasce dopo il fischio finale della Coppa del Mondo che l’Argentina ha vinto in Qatar. Ho visto tantissima passione del popolo argentino per questa vittoria e in Italia è molto simile, volevo raccontare questo. Io ricordavo i Mondiali che mi raccontavano i miei genitori quando ero piccolo, quelli che ho avuto come protagonista e quelli di adesso come tifoso. Non nascondo che quando l’Argentina ha vinto il Mondiale ho avuto la fortuna di stare con tutta la famiglia, abbiamo pianto dalla gioia e poi sono potuto scendere in campo a salutare tutti i ragazzi. Ho avuto un grande abbraccio con Messi con cui ho un grandissimo rapporto. Avevo voglia di raccontare questi sentimenti, di come uno vive questi eventi. La finale fino al 70’ aveva visto dominare l’Argentina, poi in cinque minuti è cambiato tutto. Poi supplementari, i rigori, un’altalena di emozioni pazzesca ma con un finale molto felice".
MESSI E MARADONA - "Messi? Io litigavo con tanti giornalisti argentini che lo criticavano perché uno non deve analizzare lo sportivo solo per le vittorie, ma deve analizzarlo per il percorso. Lui ha dei numeri incredibili. Anche se non avesse vinto nulla in carriera per me sarebbe stato un fenomeno uguale. Ha iniziato con la nazionale Argentina quando era giovanissimo, poi noi abbiamo smesso e lui ha continuato: ha perso delle finali importanti e sono arrivate le critiche. Tutto è cambiato quando l’Argentina ha vinto la Copa America, Messi come capitano era l’emblema ed era il suo leader. Poi l’Argentina ha vinto la Finalissima contro l’Italia e poi è arrivata la grande sfida del Mondiale. C’erano tutte le condizioni per far alzare finalmente questa coppa all’Argentina con Messi come capitano. Il confronto con Maradona? La viviamo in maniera più forte rispetto ad altri, la mia generazione è cresciuta con Diego. Poi arriva questo grande fenomeno. Per me sono entrambi due grandi fenomeni, è difficile scegliere perché hanno caratteristiche diverse anche come personalità. Però sono due fenomeni. Se tu vai in Argentina ogni 200 metri vedi un un campo da calcio, è la nostra passione. Io dico sempre che abbiamo grande materia prima ed è quello che non dobbiamo mai perdere, in Argentina ovunque trovi i bambini che giocano con un pallone. Il mio figlio più piccolo ha 11 anni e gioca col pallone anche dentro casa, ma piace anche all’altro mio figlio. A mia figlia le piace la danza e la musica. Diciamo che ci divertiamo".
L'INFANZIA - "Il mio primo regalo è stato un pallone da calcio da parte di mia mamma, avevo tre anni. Poi giocando con i miei amici nel campetto vicino a casa mia ho avuto la passione. Mio padre era un muratore, il mio quartiere era piccolo e vicino a casa c’era un grande parco e un campo in terra battuta. Noi andavamo lì giornate intere. Ad un certo punto mio padre fa una riunione con tanti vicini di casa e decide di fare un campo in cemento per far giocare i ragazzi, li abbiamo fatto tutta la nostra infanzia. Io sono tifoso dell’Indipendente: andavo a vedere le partite, tornavo a giocare al campetto e mi facevo da solo la telecronaca di quello che avevo visto durante la partita. La passione per il calcio era talmente grande che siamo nati con questo. Durante la mia carriera ho vinto tanto e abbiamo reso felici tanti interisti, ma mi piace sempre analizzare il percorso. La mia mente tornava sempre a quel bambino del quartiere in cui nasce il sogno".
IL BASKET E CAMBIASSO - "Grande giocatore di basket, infatti ad Appiano Gentile dopo gli allenamenti c’era il canestro e lui andava sempre a giocare. Anche Palacio è molto bravo. Mio figlio si allena all’Accademia Inter per un’ora e mezza e nel mentre vado ad allenarmi anche io perché c’è una palestra o comunque Parco Sempione che è lì vicino: un giorno vado a correre vedo un gruppo di ragazzi che stavano giocando a basket al campetto e c’era anche Palacio. Lui viene da Bahia Blanca, dove è nato Ginobili e Lautaro Martínez, che tra l'altro ha il fratello che gioca a basket. Quando riesco io vado a vedere le partite del Varese. Adesso siamo tanti argentini qua: Cambiasso vive qua, anche Palacio e Samuel".
LE PARTITE PIÚ BELLE VISTE - "Una delle partite più belle di calcio che ho visto è stata nel Mondiale del 1986 tra Brasile e Francia, finita 1-1 e poi ha vinto la Francia ai rigori. Poi ricordo molto bene la partita tra Argentina e Inghilterra quando Diego fa quel bellissimo gol e poi quando l’Italia vince col Brasile nel Mondiale di Spagna. Quando l’Italia ha affrontato l’Argentina nella Finalissima ero contento a metà. In famiglia eravamo tristi quando l’Italia non si è qualificata ai Mondiali, una volta era successo a San Siro e i miei figli piangevano perché l’Italia non era andata al Mondiale. Ho grandissimo rispetto per l’Italia e per questo paese".
I MOMENTI DELLA SVOLTA - "Dico sempre che il lavoro paga, penso che ci siano stati due momenti per la mia carriera. Il primo in Argentina, quando il mondo inizia a conoscermi. Giocavamo contro il Boca, io ero al Banfield e giocavamo alla Bombonera. Avevo 18 anni: faccio benissimo, vinciamo 2-1 e il giorno dopo mi era cambiata la vita. Avevo i giornalisti fuori da casa mia. In quella partita sono uscito dallo stadio con mio padre con uno dei migliori amici: non avevo la macchina e avevamo fatto 300 metri per prendere il pullman che ci riportasse con mio quartiere, attraversando il ponte. Dopo la partita il pullman era pieno di gente che era nel pubblico. Erano tutti tifosi del Boca e tutti mi guardavano e mi dicevano 'tu mezz’ora fa eri lì dentro allo stadio ci hai fatto perdere la partita'. Lì ho iniziato a rendermi conto che qualcosa stava succedendo e cosa voleva dire diventare un calciatore di Serie A. Poi quando arrivai in Italia per me era la grandissima opportunità, in quel momento lì il calcio italiano era al top e poi c’erano grandi campioni. Io ricordo il primo derby contro Maldini, Baresi, Tasotti, Donadoni... San Siro era impressionante. Mi guardavo intorno e dicevo 'è il mio primo derby con questi mostri'. Da lì era il momento di prendere tutto e di continuare a crescere per fermare il più lontano possibile".
MORATTI - "In quella foto (Zanetti che tiene l’ombrello e Moratti al suo fianco, ndr) eravamo alla Pinetina. È venuto lui dopo più di 10 anni che non tornava lì ed è stata una bellissima sorpresa perché Moratti per me è come un papà. Il presidente Zhang è stato molto gentile a invitarlo e quando anche io ho rivisto quella foto lì mi sono venuti in mente i miei tempi, quando io mi allenavo e lui era lì che con l’ombrello che guardava i nostri allenamenti. È stato un momento emozionante anche per lui, vedevo che era felicissimo di tornare in quella che è casa sua e vedevo che anche il presidente dell’Inter era felice di questa cosa. Tra di loro c’è un rapporto di grandissimo rispetto. Moratti ha dichiarato che l’Inter era resta sempre la sua grande passione. Se mi ha preso lui? Io sono arrivato all’Inter perché avevo fatto bene in una partita in cui l’Inter osservava Rambert. In quei tempi lì c’erano le videocassette: in Argentina c’erano Luis Suárez, Sandro Mazzola e Angelillo che lavoravano per l’Inter e guardavano queste partite. L’Inter prende Rambert e voleva prendere un altro giocatore, ma non nel mio ruolo. Quando mandarono questa cassetta Mazzola ha chiamato Moratti, che aveva visto la cassetta con suo figlio, parlando di un trequartista. Moratti disse 'no, voglio il numero 4. Comprate il numero 4'. Lì mi hanno comprato e così è iniziata la mia avventura con l’Inter".
I GENITORI - "Io avevo iniziato a giocare all’Indipendente, ero felicissimo. Poi dopo due o tre anni ero ancora magrolino rispetto ai miei compagni ma continuavo ad allenarmi, poi un giorno arriva l’allenatore e mi dice che purtroppo non avrei più fatto parte di quella squadra. Tornai a casa piangendo, abbracciai i miei genitori. Durante la stagione non ho potuto trovare un’altra squadra perché era l’ultimo giorno di mercato, ma forse era il destino che questa cosa dovesse capitare perché mio padre è muratore e mi sono messo a lavorare con lui. Per me è stato uno dei momenti più belli perché lì ho capito tantissime cose della vita, come i sacrifici che facevano i miei genitori. Mia era madre la casalinga, mio padre si alzava alle cinque di mattina e ci rivedevamo all’ora di cena. Ogni giorno così. Lavorare con lui mi ha fatto capire tanto. I miei amici mi chiedevano di giocare a calcio e io dicevo che dovevo lavorare con mio padre, finché da un certo punto mio padre si ferma durante il lavoro e mi chiede cosa volevo fare da grande. Io gli dissi che la mia passione era il calcio e lui mi disse di riprovarci. Quelle parole lì in quel momento lì mi hanno dato l’impulso per trovare la forza di provarci ancora. Vado a fare il provino con una squadra di Serie B e il provino va bene, questa squadra mi prende e lì inizia la mia grande carriera. Faccio un anno lì, poi mi compra il Banfield in Serie A, gioco di due anni e poi succede quello che succede. Io dico sempre che la felicità la senti e la vedi quando fai le cose semplici: per me bere il mate con i miei genitori era una cosa unica, tornare in Argentina ora e mangiare l’asado con i miei amici è un momento unico. Ho avuto la fortuna di avere due genitori che mi hanno trasmesso valori importanti e l’educazione che mi hanno dato loro mi ha accompagnato come calciatore e mi accompagnerà sempre per tutta la vita. Da lì nasce la mia fondazione per dare la possibilità tanti bambini di sognare come ho sognato io".
LE PARTITE SPECIALI GIOCATE - "Mi viene in mente la prima a San Siro perché era l’esordio e per me voleva dire compiere questo sogno. Giocavamo contro il Vicenza di domenica, il venerdì ho preso la macchina perché c’erano mio padre e mia madre e siamo andati fino a San Siro a girare intorno e gli raccontavo che la domenica avrei giocato in quel grande stadio. I primi tre anni loro si sono trasferiti in Italia con me, non avevano mai preso un aereo e sono arrivati in una realtà completamente diversa. Loro erano felicissimi di accompagnarmi e i primi tre anni sono stati molto belli come emozioni e come percorso di crescita. Io divido la mia storia con l'Inter in due tappe: i primi 10 anni dove siamo riusciti a vincere la Coppa UEFA con Ronaldo il Fenomeno e poi gli altri 10 anni dove siamo riusciti a vincere tutto. Nei momenti di difficoltà parlavo spesso con Moratti, lui faceva grandi investimenti per comprare grandi campioni ma non arrivavano i risultati. Io dicevo che dovevamo insistere. Meno male che poi il tempo mi ha dato ragione. È stato un riconoscimento per tutti gli sforzi che abbiamo fatto".
LA FASCIA E LO SPOGLIATOIO - "Se ricordo la prima volta? Sì, era una partita di Coppa Italia. Prima erano Bergomi a Pagliuca, ma mancavano tutti e due quindi ho indossato la fascia per la prima volta. Poi dal '99 in poi ho sempre indossata: è un momento di grande soddisfazione, di grande onore perché vedevo tutti quelli che avevano indossato la fascia prima di me. Era una grande emozione. Da capitano hai più responsabilità, però dipende anche dalla personalità di ognuno. Io era un capitano e mi piaceva essere d'esempio. Poche parole e tanti fatti. I miei compagni sapevano che tutto quello che facevano non era per un interesse personale ma per un bene comune. Ero un capitano che rendeva partecipi tutti, se c’era un problema facevo riunione con tutti e affrontavamo il problema e prendevamo le decisioni. Tutti i miei compagni mi hanno rispettato per questo, perché mi hanno conosciuto senza fascia e quando ho iniziato a indossarla non è cambiata la mia personalità. Avevo sicuramente più responsabilità ma tutto quello che facevo io era per il bene del gruppo. Io sono stato capitano di Ibrahimović, Eto'o, Baggio, Simeone... tanti giocatori con tanta personalità. Ognuno di loro poteva essere un capitano, ma ho sempre ricevuto da parte loro grandissimo rispetto e questo sicuramente mi ha aiutato. Chi erano i più difficili da gestire? Quando fai parte di un gruppo così grande di gente con grande personalità è difficile. Ibra ad esempio aveva un carattere duro, ma quando parlavi con lui ti mettevi d’accordo subito perché lui aveva la sua personalità ma capiva tantissime cose. Con Mario Balotelli, che in quel momento era giovane ed è un talento unico, ci sono stati dei momenti di difficoltà. Però io dico sempre che quando si parla la soluzione si trova, bisogna parlare delle cose. Se c’è un problema va affrontato. Non bisogna far passare il tempo per far diventare più grande il problema. Sapevamo in quale direzione dovevamo andare. Se mi è mai capitato di litigare con qualcuno? Sì, sono cose che succedono ed è giusto anche che sia così perché magari ci sono persone che non la pensano come te ma devono tirare fuori i loro pensieri. Poi ci confrontiamo, parliamo, però io dicevo sempre che non era un problema tra me e te. Qui dovevamo pensare al bene del gruppo e risolvere la cosa in funzione del bene del gruppo".
RONALDO - "Ronaldo era un fenomeno. Lui con noi arrivava dal Barcellona nel suo miglior momento, era imprendibile. Aveva potenza, dribbling freddezza davanti al portiere. Ogni volta che partiva o gli facevi fallo o non lo fermavi. Era un ragazzo solare, sempre divertente, per il gruppo era molto positivo".
L'AFFARE LAUTARO - "Con quale giocatore di oggi vorrei giocare? Se io vedo adesso l’Inter come sta giocando, mi sarebbe piaciuto giocare con tutti loro perché sono tutti forti. Lautaro poi, come argentino... sicuramente sarebbe stato bello. Con lui c'è un rapporto bello perché tutto inizia quando lo abbiamo comprato. Ci confrontiamo sempre con Marotta, Ausilio, Baccin e poi decidiamo quale strategia utilizzare e quale squadra vogliamo crearla. Quando abbiamo preso Lautaro lui era al 90% dell’Atletico Madrid. Io conoscevo uno dei procuratori e lui mi ha detto 'Guarda siamo appena atterrati a Madrid, andiamo e firmiamo'. Io chiamo Ausilio e glielo dico, lui era dispiaciuto perché lo seguiva da tanto tempo. Passano due settimane e mi chiama questo mio amico e mi dice che stavano avendo dei dei problemi con l’Atletico Madrid e se potevano parlare con noi. Ho parlato con Piero e gli ho detto 'subito'. Siamo partiti per l'Argentina e in due notti abbiamo chiuso, abbiamo trovato l’accordo con Lautaro e mancava l’accordo con il Racing. Con quel club io avevo un grande rapporto perché ci lavorava Milito e perché conoscevo il presidente. Ho detto a Diego che stava arrivando Ausilio per cercare di chiudere l’operazione e lui mi ha detto 'ok ok lo aspettiamo'. Ausilio va in Argentina e chiude l’operazione col Racing. Lautaro aveva vent’anni: quando prendi un giovane devi pensare al futuro, a cosa avrebbe potuto fare tre o quattro anni dopo se entrava in una squadra come la nostra. Io mi ricordo che avevo visto una partita di Lautaro dove faceva una tripletta poi, una volta finita la partita, il giornalista gli aveva chiesto se fosse contento. La sua risposta a vent’anni era stata 'sì, sono contento perché ho fatto tre gol però non della mia prestazione perché non ho giocato bene'. Un altro avrebbe detto che era felicissimo e che aveva fatto la miglior partita della sua carriera, invece in lui vedevamo già il Lautaro che è adesso, che anno dopo anno cresce. E adesso è un punto fermo e siamo felicissimi. C’era empatia, c’era rispetto e c’era voglia anche da parte sua perché è un ragazzo umile, che ascolta e che si vuole sempre migliorare. Poi quando lavori in una certa maniera i risultati arrivano e oggi Lautaro è il nostro capitano, è un punto fermo, ha senso di appartenenza. Siamo felicissimi. Sono valori che so che è molto più complicato trovare oggi. È come se la nuova generazione voglia tutto subito e non è così, torniamo sempre al percorso. Pensano che tutto è dovuto, ma per ottenere ti devi sacrificare, devi superare le difficoltà, devi essere resiliente. Ci sono tante cose che servono nella vita quotidiana, sono questi valori che dobbiamo trasmettere. Parlo anche come papà perché anche i miei figli non vivono una realtà in cui ho vissuto io e gli faccio capire che la vita non è facile. In Argentina li porto nella mia fondazione per fargli vedere che ci sono bambini che non sono fortunati come loro, li devi preparare. Poi ognuno sceglie la sua via".
IL 'NO' AL REAL MADRID - "Sul calcio di oggi dobbiamo insistere, dobbiamo credere che si può tornare a quei valori che c’erano un tempo. Dobbiamo essere per primi noi a trasmetterli. Mi è capitato di avere offerte di club importanti in Europa e ho sempre messo nella mia bilancia per ultimo il lato economico. Prima mettevo il il come mi trovavo in un determinato posto e il perché volevo continuare a restarci. L’Inter è sempre stata la mia priorità. Sono stato molto vicino al Real Madrid, però anche nel momento di quella proposta era un periodo difficile per l’Inter e io volevo lasciare un segno in squadra. Quello era un gran momento di difficoltà e non potevo andarmene come se niente fosse".
LO SPOGLIATOIO - "In generale le dinamiche sono cambiate ed è anche giusto che sia così perché cambiano i tempi. Ora c’è più informazione, i ragazzi hanno più consapevolezza e hanno più persone che li seguono. Però io credo che i valori devono restare sempre perché rappresentano la base. Io anche adesso che studio all’università e che inizio a capire anche altre cose e che mi confronto anche con altri dirigenti che hanno una certa esperienza, dico sempre che uno può avere più o meno competenze però la differenza la fanno i valori umani. Io sono sicuro e convinto di questa cosa. Se ti comporti in una certa maniera di sicuro arriverai, se ti comporti in un’altra maniera può essere anche il più bravo ma non succede niente".
I RIVALI - "Il derby e la partita con la Juve sono le partite più sentite per una questione anche di storia che hanno tutti e tre i club, che viene dalla nascita. Quelle partite creavano anche qualcosa di speciale, ma ho avuto sempre grandissimo rispetto. Affrontare Paolo Maldini per me, al di là della rivalità, era una cosa bella perché affrontavo un grandissimo campione dentro e fuori dal campo. E anche adesso quando ci troviamo fuori ci abbracciamo. Anche con Del Piero, con Totti, con Buffon. Il calcio è questa cosa: se magari non ti vedi da tanto tempo ti abbracci, perché il calcio unisce. In campo, come è giusto che sia, ognuno difende la sua maglia, però al di fuori del campo ci sono anche altre circostanze altri momenti in cui c’è il rispetto che arriva prima di tutto".
IL TRIPLETE - "Quel momento lì rimarrà eterno, fa parte delle pagine più importanti della storia del nostro club e siamo l’unica squadra italiana ad averlo fatto. Ricordo la nostra curva a Madrid che ci chiedeva di coronare un sogno e noi l’abbiamo vissuto in quella maniera lì. Credo che sia stata una annata indimenticabile con tutti noi".
MOURINHO - "Il rapporto tra noi era bellissimo. Avevo un grande rapporto come calciatore e ho un grande rapporto anche adesso quando ci troviamo. Lui è riuscito a creare una famiglia. In quella squadra lì, oltre ad esserci grandi campioni, tutti avevano grande personalità e avevano questa voglia di fare questa cosa per l’Inter. Penso che per noi rimarrà indimenticabile. È stata una cosa unica. Io lo sentivo, però quella Champions League è stata molto complicata perché ad un certo punto noi nella fase a gironi andiamo a giocare a Kiev e al primo tempo perdevamo 1-0 ed eravamo fuori dalla Champions. È lì che per la prima volta avevo sentito che la squadra aveva qualcosa in più: Mourinho a fine primo tempo ha detto che voleva rischiare perché eravamo fuori, ha tolto due difensori e ha messo due attaccanti. Abbiamo vinto all'ultimo minuto 2-1 ed è stato il primo segnale. Poi tutti ricordano la doppia sfida col Barcellona: prima il 3-1 meritato a San Siro, poi lì sognavano la remuntada ma c'è stato spirito di squadra dopo l'espulsione di Thiago Motta. È stata l'unione di gruppo per l'obiettivo finale e poi è andata bene. All’Inter ho giocato 858 partite, tanti chilometri".
LE CARATTERISTICHE - "La caratteristica che mi ha fatto fare la differenza? La forza mentale e fisica. Il fisico mi ha aiutato tanto perché ero uno che recuperava abbastanza velocemente, questo mi ha permesso di giocare con grande continuità. Poi avere un infortunio grave a quasi a fine carriera mi ha aiutato tantissimo. E poi la grande dedizione al lavoro prima, durante e dopo gli allenamenti. Il taglio di capelli? Io penso di essere nato così (ride, ndr). Tu sai quante persone mi chiedono sui social se c’è qualche segreto o se uso qualche prodotto? Io mi alzo la mattina e ho già i capelli così, vanno nella direzione in cui devono andare".
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- 12:00 SCUDETTO nelle mani del NAPOLI, tutte le "COLPE" dell'INTER. THURAM e PAVARD a BARCELLONA? Le ULTIME
- 11:45 Ludi (DS Como): "Nico Paz? Nostra volontà chiara e siamo fiduciosi, ma non dipende da noi"
- 11:30 CdS - Verso Barcellona: Pavard in dubbio, Thuram non sembra disponibile
- 11:16 La Repubblica - Barcellona-Inter, clamorosa ipotesi per l'attacco in caso di forfait di Thuram
- 11:02 Trevisani: "Napoli senza ostacoli, ma a Barcellona sarà grande Inter. Su Bisseck rigore evidente"
- 10:48 Il Giorno - Barcellona-Inter, il tifo nerazzurro ci sarà: settore ospiti sold out, ecco i tagliandi venduti
- 10:34 Adani: "L'Inter raschia il fondo del barile, ma finora la stagione è positiva. Bisseck-Ndicka? Contatto falloso"
- 10:20 Barcellona-Inter, squadra arbitrale tutta francese: la designazione
- 10:06 Cesari: "Ndicka-Bisseck sicuramente da Var. Da Inzaghi un'allusione verso Fabbri"
- 09:52 Pagelle TS - Si salvano Acerbi e Carlos Augusto: il brasiliano titolare in Champions?
- 09:38 TS - Inter, fine corsa: lo scudetto-bis è un Everest e il Barcellona sembra di un altro livello
- 09:24 Pagelle CdS - Acerbi lotta, Frattesi gira a vuoto, Dimarco un disastro