Il suo libro è uscito da poco. 'Almeyda, Anima e Vita', un'autobiografia di circa 300 pagine, in cui l'ex mediano dell'Inter si racconta come mai fatto prima. Matias Jesus Almeyda non ha trascorso molti anni in nerazzurro, ma quel poco bastò per renderlo un idolo dei tifosi. Schivo, duro, generoso: qualità apprezzate dal mondo Inter. Poi l'addio prematuro al calcio giocato, il rientro in Argentina, la sorpresa del ritorno nel 2009 e, da un paio di stagioni, la carriera di allenatore. Nel River Plate, lì dove ha smesso di giocare. Dopo l'inferno della retrocessione, la pronta risalita. Adesso le cose non vanno bene, ma lui continua per la sua strada. E anche qui, ci sono incroci con altri ex nerazzurri: per la sostituzione in panchina si parla di Ramon Diaz, ma la giunta direttiva del club, con a capo Daniel Passarella, ha ancora fiducia in lui.
“Per tutta la carriera ho fumato dieci sigarette al giorno. Anche l’alcol è stato un problema. Bruciavo tutto negli allenamenti, ma vivevo al limite. Una volta ad Azul, il mio paese, ho bevuto cinque litri di vino, come fosse CocaCola, e sono finito in una specie di coma etilico. Per smaltire, ho corso per cinque chilometri, finché ho visto il sole che girava. Un dottore mi ha fatto 5 ore di flebo. Sarebbe stato uno scandalo, all’epoca giocavo nell’Inter. Quando mi sono svegliato e ho visto tutta la mia famiglia intorno al letto, ho pensato che fosse il mio funerale”. Così racconta Almeyda, che rapidamente ripercorre la sua carriera italiana. “Alla Lazio si è visto l’Almeyda migliore. A Parma, dopo che avevo litigato con Stefano Tanzi, una volta mi ferma la polizia e mi sequestra la macchina. Giorni dopo, mi sono svegliato e la macchina nuova era sparita dal garage. A Milosevic, lui pure in conflitto con la società e con un contratto alto come il mio, capitava lo stesso. Un giorno mia moglie torna a casa e sente delle voci all’interno. Scappa e chiama la polizia. A casa poi non mancava niente. Ma c’era una manata sulla parete. Fatta con olio di macchina. Un messaggio mafioso. Mia moglie ha avuto un parto prematuro. Dopo il Mondiale ’02 a Parma non sono più tornato”.
Le amicizie vere? Eccole: “Lele (Adani, ndr) è la mia anima gemella. Ci siamo conosciuti quando io iniziavo a stancarmi dal sistema. Lo considero il fratello che mi ha dato la vita. È venuto a vedere il River e un giorno lavoreremo insieme in Italia. Anche con Roberto ho ancora un buon rapporto. È un fuoriclasse, ma correvo io per tutti e due. Glielo dico sempre: 'Mi hai distrutto il fegato, da quanto mi hai fatto correre'”.
Poi le ombre, tra puzza di doping e sentori di combine. “A Parma ci facevano una flebo prima delle partite. Dicevano che era un composto di vitamine, ma prima di entrare in campo ero capace di saltare fino al soffitto. Il calciatore non fa domande, ma poi, con gli anni, ci sono casi di ex calciatori morti per problemi al cuore, che soffrono di problemi muscolari e altro. Penso che sia la conseguenza delle cose che gli hanno dato. Sul finire del campionato 2000-01, alcuni compagni del Parma ci hanno detto che i giocatori della Roma volevano che noi perdessimo la partita. Che siccome non giocavamo per nessun obiettivo, era uguale. Io ho detto di no. Sensini, lo stesso. La maggioranza ha risposto così. Ma in campo ho visto che alcuni non correvano come sempre. Allora ho chiesto la sostituzione e me ne sono andato in spogliatoio. Soldi? Non lo so. Loro lo definivano un favore...”.
Elogi per Edgar Davids, avversario di mille battaglie. “Davids? Era l’avversario che mi piaceva di più. Avremmo potuto diventare amici”.
Infine, ecco la depressione e l'addio all'Inter prima e al calcio poi. “È iniziata a Milano. Due infortuni, troppo tempo senza giocare. Pensavo e pensavo. Un giorno non sentivo più la mano, quello dopo avevo perso la sensibilità nella metà del corpo. All’Inter c’era una psicologa. Mi diagnosticò attacchi di panico e prescritto una cura, ma non le ho dato retta. Ho capito che dovevo fare qualcosa quando mia figlia mi ha disegnato come un leone triste e stanco. Da allora tutti i giorni prendo antidepressivi e ansiolitici. Le chiamo le pillole della bontà, mi fanno essere più buono”.
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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