“È la dura legge del gol, fai un gran bel gioco però…”. Quante volte ci siamo ritrovati a canticchiare questo motivetto diventato storico a partire dalla fine degli anni Novanta. Bene o male, nelle parole post-partita di Juventus-Inter da parte di Simone Inzaghi c’è una sorta di rievocazione di quel ritornello degli 883: perché la sua Inter specie nel primo tempo ha creato tante occasioni quante mai ne aveva viste nei suoi confronti con la Juventus allo Stadium, ma alla fine non ne ha concretizzata nemmeno una e alla fine, se non alla prima occasione poco ci manca, loro san saliti subito e con Francisco Conceiçao hanno infilato il pallone giusto dentro la porta di Yann Sommer.
Nella rete bianconera, figlia di una giocata un po’ fortunosa e un po’ bailada di Randal Kolo Muani, c’è la legittimazione non tanto della prevalenza della squadra di Thiago Motta, quanto del sortilegio che sembra colpire l’Inter ogni qualvolta deve affrontare i bianconeri in casa propria, dove il più delle volte i nerazzurri hanno finito col pagare dazio nei modi più disparati, magari sciorinando a tratti un gioco migliore dei padroni di casa come avvenuto ieri. Per strappare una vittoria negli ultimi anni, i nerazzurri hanno dovuto mostrare il loro lato più sporco e cattivo, capitalizzando il rigore segnato da Hakan Calhanoglu.
È una sconfitta, quella di Torino, che considerando il contesto cambia effettivamente poco in chiave campionato visto che il Napoli rimane sempre a portata di sorpasso, ma il modo in cui è maturato il ko impone chiaramente delle riflessioni, come giusto che sia. Il tecnico nerazzurro lamenta un rendimento insufficiente soprattutto negli scontri diretti e chiede un cambio di marcia per quelli rimanenti, su tutti quello di Napoli di inizio marzo che può davvero dare un imprinting decisivo alla corsa per il titolo. Ma forse non è quello il principale nodo della questione: semmai, è giusto provare a capire cosa c’è dietro quelle parole di Henrikh Mkhitaryan che tanto hanno fatto discutere nel dopopartita.
Davvero l’Inter è così ingiocabile anche quando l’evidenza sembrerebbe dire il contrario? C’è davvero questa sorta di appagamento preventivo che porta i giocatori a subire il fastidio di sentirsi più forti delle altre? Perché se vogliamo dirla tutta, sotto questo aspetto l’Inter, almeno in campionato, è stata decisamente multiforme, alternando serate dove i pianeti si sono allineati in maniera alquanto propizia e altre dove si sono riviste le streghe di due stagioni fa, quella delle partite con dominio nel gioco e nelle azioni da gol e poi magari perse in maniera oltremodo rocambolesca. Poi però, se si va ad analizzare il dato degli Expected Goals complessivi da alcuni siti specializzati si scopre che l’Inter è sostanzialmente in credito visto che il bottino di gol fatti è superiore di almeno 4-5 punti rispetto a quelli calcolati in base alle occasioni potenziali.
E allora, dov’è la verità? Forse nel fatto che nell’Inter, per essere straripante come si è visto a Verona o all’Olimpico contro la Lazio, mai come quest’anno deve funzionare tutto alla perfezione perché il minimo granellino di sabbia rischia di compromettere un ingranaggio che sta patendo oltremodo la ruggine degli anni che passano? Non c’è apporto dalle seconde linee offensive ma questa non è una novità, però quando latitano anche le bocche da fuoco principali diventa un problema perché in questa squadra comincia a farsi sentire l’assenza dell’apporto del centrocampo, quel reparto che una volta era motivo di orgoglio quando non di invidia e che ora sembra messo a nudo nelle sue problematiche legate all’età, agli acciacchi, al peso da reggere dei tanti impegni, alla qualità in calo, col solo Nicolò Barella che cerca perlomeno di dare la scossa emotiva alla squadra.
Il gioco vive dei lampi degli esterni, lì dove Denzel Dumfries imperversa col tenero Nicolò Savona ma poi basta mettere un terzino naturale come Andrea Cambiaso per calmarne la furia agonistica. Mentre dall’altro lato un po’ di pepe arriva con l’inserimento di Nicola Zalewski, che conferma l’ottimo impatto con la nuova realtà. E che forse rappresenta la figura che meglio simboleggia il momento della formazione nerazzurra, dove serve la leva più nuova (l'unica arrivata dal mercato, situazione che adesso per tanti tifosi diventa difficile da sostenere) per tentare di dare vivacità ad un gruppo che continua a credere molto nelle sue potenzialità, è fuori di dubbio, ma che forse non è sostenuto fino in fondo dalle forze mentali e fisiche; scotto eccessivo da pagare in una stagione lunga ed estenuante. Ma a proposito: è stata accolta come una benedizione la prima partita preparabile in sei giorni dopo mesi eppure dopo poco più di un tempo l’Inter ha visto esaurirsi le batterie in maniera clamorosa. Allora, qual è il ritmo giusto da tenere per poter rendere al meglio?
Soprattutto, però, questo è un gruppo che vuole credersi davvero ingiocabile come è giusto che sia, ma che deve anche guardarsi allo specchio ed evitare di incappare nella fine di Narciso ma fare un bel training autogeno e capire che certi atteggiamenti possono rappresentare un limite e non un’opportunità. Non tutto è perduto, la strada è ancora lunga, magari senza qualche scempiaggine arbitrale di troppo molto probabilmente saremo qui a parlare di una classifica differente e Simone Inzaghi non starebbe troppo a leccarsi le ferite. Ma è adesso che le idee vanno definitivamente riordinate e capire qual è la soglia di tolleranza e porre il confine tra una bella e una brutta stagione, come è stato giusto chiedere a Mkhitaryan dopo la partita e come sarebbe giusto capire anche dal gruppo stesso e dal proprio allenatore.
Allenatore al quale sarebbe bello sentirlo dire esplicitamente anche se a volte chi vorrebbe chiederlo non ha l’opportunità di farlo. Ma tant’è, forse non è questa la cosa importante: semmai, lo sarà dimostrare che le riserve di energia rimaste a disposizione sono tali per poter lottare fino alla fine per i vari obiettivi. E per far capire se a luglio sarà definitivamente tempo di preparare i festeggiamenti o istruire dei processi.
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