Marcus Thuram si è autoclassificato tra i primi dieci attaccanti al mondo nell’intervista rilasciata per il numero del mese di aprile della rivista francese Onze Mondial (LEGGI QUI). Ma come si diventa il numero uno? Questa è la risposta che dà l’attaccante dell’Inter ai microfoni del magazine, intervista della quale vi proponiamo ora nuovi passaggi: “Continuando a lavorare, a farsi le domande giuste e a riflettere. Voglio diventare sempre più intelligente nel gioco perché è questo ciò che fa la differenza tra un buon giocatore e un grande giocatore: la capacità di saper leggere il gioco, capire cosa sta succedendo in campo 30 secondi prima. E come sapete, avere 30 secondi d’anticipo è una cosa enorme. Bisogna insistere su questo aspetto. Si tratta di quelle piccole cose che magari la gente non vede in televisione, ma che ogni giocatore deve puntare a controllare. E che ti permettono di entrare nella partita sapendo tutto quello che succederà e come si concludono le azioni”.
Ma come si migliorano questi piccoli dettagli?
“Facendosi le domande giuste, riguardando le proprie prestazioni per analizzare cosa si è fatto bene e cosa no. Mi piace anche guardare quello che fanno gli altri attaccanti. Riguardo i gol che faccio ma la cosa che mi piace fare è guardare tutte le reti che si segnano in tutti i campionati. E se guardate bene, ci sono sempre delle piccole somiglianze: ad esempio, vedrete molti gol segnati sul primo palo. Oppure un giocatore che si trova in una determinata situazione che va a mirare sempre lo stesso punto. Guardando, registrando e imparando si guadagna tempo. Poi, si possono replicare le cose belle in campo, trovare il buon piazzamento o il gesto ideale”.
E c’è un’azione che hai registrato e poi replicato?
“Ad esempio quella che ho segnato contro il Feyenoord a San Siro. Quando Denzel Dumfries sta per preparare il cross, si trova sulla stessa linea dei difensori ma poi mette il pallone dietro per Nicolò Barella, che si trova più arretrato. Da quell’angolo, per Barella è stato più facile far partire una traiettoria sul secondo palo. Si tratta di quello che spesso Kevin de Bruyne fa per Erling Braut Haaland. Ogni volta che il belga si trova davanti ai difensori, mette la palla sul secondo palo dove Haaland è pronto per insaccare. E questo è il gol che ho fatto io”.
Tu sviluppi la tua intelligenza calcistica guardando gli altri attaccanti. Poi cos’altro fai?
“Parlo con i giocatori più anziani o con mio padre che è stato un grande difensore. Si può imparare da tutti: da Lautaro Martinez, da Marko Arnautovic, da Mehdi Taremi. Oppure da Simone Inzaghi stesso. Tutti quelli che hanno giocato a calcio o conoscono il calcio possono darmi un consiglio. Ci porta a pensare ed imparare più rapidamente”.
Come ti metti in campo per aumentare le tue possibilità di segnare?
“Bisogna piazzarsi perfettamente, in funzione di dove si trovano il pallone o il difensore… Bisogna sapere se il difensore chiude velocemente o no, se è più piccolo o più grande di te. Sono tanti i parametri che ti permettono di capire come può andare a finire prima che tu scenda in campo. Tutto sta nell’intelligenza e nel saper anticipare il gioco. Per esempio, posso capitare con un difensore che non ama fare tackle col piede destro, ma usa il sinistro. Quindi, provo a uscire sul suo piede destro. Piccoli dettagli che fanno la differenza”.
Hai mai vissuto dei momenti di dubbio? Hai segnato col Feyenoord dopo essere rimasto all’asciutto per un po’.
“Sì, ed ero tranquillo. Sapevo che avrei segnato in un determinato momento. Non dico che sono felice quando non faccio gol, ma il dubbio è qualcosa di mentale. Comincio ad adoperare questo stratagemma: quando non segno in una partita, non vado a dire che non sono contento. Soprattutto se la squadra vince, lì non puoi mai essere scontento. Se ti vengono dei dubbi, allora il tuo periodo di astinenza è destinato ad allungarsi. Non bisogna mai crearsi dei dubbi o farsi obnubilare la mente dal pensiero di segnare; quando si entra in campo, bisogna pensare a giocare, divertirsi, rispettare quello che chiedo. E alla fine, verrai ricompensato”.
La pressione popolare è sempre presente. Come quella mediatica, dei tifosi, del risultato, dell’allenatore. Oppure quella di perdere il posto da titolare. Sono tutte pressioni da considerare, non trovi?
“Sì, ma bisogna rimanere sereni con sé stessi, sapere che queste cose sono esterne al mondo del calcio, che fanno parte della vita di un calciatore. I giornalisti che danno i voti a fine partita, le televisioni che parlano di calcio. C’è tutto un mondo che gira intorno a questo mondo col quale i giocatori non dovrebbero interagire. Noi siamo degli attori, non degli spettatori. C’è un mondo per gli spettatori e uno per gli attori”.
E di tutto questo, niente influisce su di te?
“A dire la verità no. Ho avuto la fortuna di avere questa educazione. Anche mio padre ha conosciuto questa vita, questa pressione. E da piccoli, ci ha inculcato tutto questo: l’essere sereni, calmi, non farsi influenzare dalle cose esterne. Quando da piccoli giocavamo con papà, ci metteva fortemente sotto pressione: ci prendeva in giro, ci stuzzicava, ci urlava contro. A ripensarci è divertente, ma non mi è mai piaciuto parlarne; non ci ho mai pensato, me ne sto rendendo conto solo adesso. Ma l’aver fatto così ci ha aiutato a prepararci a tutto quello che stiamo vivendo adesso. Se io sbagliavo un’azione, si prendeva gioco di me. Oppure, quando giocavo contro di lui, si inventava qualche piccolo trucco per farmi capire che tutto alla fine passa soltanto da te, quello che c’è intorno non conta”.
È più facile giocare a due lì davanti o da solo?
“Ho iniziato a giocare solo quando ero al Borussia Moenchengladbach; quando sono arrivato all’Inter per me era complicato avere un partner d’attacco. Quando giochi davanti, sei la persona più avanti, non devi guardare quello che succede alle tue spalle. Fai i movimenti che senti. Quando sono arrivato all’Inter ho dovuto imparare a giocare con Lautaro Martinez e ho avuto la fortuna di trovare un attaccante fantastico. La squadra girava benissimo, quindi sono arrivato in un sistema ben rodato dove tutti i giocatori si conoscevano. Ho dovuto solamente imparare alcuni movimenti e spostamenti. Poi, non ho preferenze: ho imparato a giocare come attaccante singolo e ora ho imparato a giocare da nove con un’altra punta”.
Da quando sei arrivato all’Inter, il tuo valore è raddoppiato. Secondo Transfermarkt adesso il tuo cartellino vale 75 milioni.
“Davvero dicono questo? Quindi vuol dire che forse sono cresciuto due volte. Dicono questo, no? Vuol dire che sono cresciuto bene e che sono in una squadra che gira bene. Non so se il mio valore sarebbe aumentato così tanto se la squadra non avesse girato così bene”.
Sei allenato da Simone Inzaghi, che in passato è stato un buon attaccante. Avete avuto modo di scambiarvi informazioni sul ruolo?
“Sì, mi dà i suoi consigli su delle cose che ha capito sul tardi, sulle sue sensazioni. Avere un allenatore che è stato attaccante è il massimo per un attaccante. Perché trasmette tante cose che solo noi possiamo comprendere”.
Anche il fratello Filippo era un attaccante.
“Simone era più bello da vedere. Filippo però era un mestiere a parte. Riuscire a partire sempre sul filo del fuorigioco è bello. Però tutto dipende da quello che definisci bello, però per me partire al limite dell’offside è bello. Vuol dire avere l’intelligenza di nascondersi e partire al momento giusto, calcolare la traiettoria del pallone, fare attenzione al fuorigioco, ai movimenti della difesa e del portiere. Per me questa è un’arte. E ovviamente anche a me piacerebbe aggiungere quest’arte alle mie qualità. Chi non vorrebbe il suo senso di posizionamento? ”.
Il simbolo dell’Inter è il serpente, simbolo di eleganza e potenza. Ti ci rispecchi?
“Nei miei giorni migliori, sì. In campo e fuori mi piace sganciare eleganza e potenza. Poi magari quando mi vesto l’eleganza sì ma la potenza no. Ma mi piace mostrare quello che il serpente rappresenta e dare un sentimento di dominio in rapporto ai miei avversari”.
Giocare il Mondiale con tuo fratello Khéphren è un obiettivo comune?
“Si tratta di uno degli obiettivi, sicuro. Si può dire così”.
Quali sono i tuoi sogni oggi?
“Continuare a giocare a calcio e continuare a migliore ad ogni partita e ogni allenamento”.
Con quale frase chiuderesti quest’intervista?
“’O corpo, fai di me un uomo che ogni giorno fa domande’. È una frase di Frantz Fanon che ho scoperto con mio padre, guardando un reportage. Il mio obiettivo è quello di svegliarmi ogni giorno sentendomi migliorato in rapporto al giorno prima”.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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