E’ la turbolenta estate del 1948: l’Italia, alle prese con gli enormi problemi economici generati dalla sanguinosa Seconda Guerra Mondiale terminata tre anni addietro, ha appena aderito al Piano Marshall, è fresca di elezioni ma anche preda delle gravi tensioni prodotte dall’attentato al segretario del PCI Palmiro Togliatti che rischiano fortemente di sfociare in un nuovo, terribile conflitto civile. Il mitico Gino Bartali ha da poco conquistato il suo Tour de France numero due quando, proprio da oltralpe, sbarca a Milano colui che sarebbe diventato il primo fuoriclasse straniero della storia della Beneamata: stanato da quel formidabile scopritore di talenti che era il dirigente nerazzurro Giulio Cappelli e proveniente dallo Stade Français allenato da Helenio Herrera, ai giornalisti che lo attendono sulla pista dell’aeroporto di Linate si presenta affermando “Me voici, le grand Etienne”.
E’ il grande Stefano, che di cognome fa Nyers ma di nome non si sa: Etienne, Stefano, Istvan sono i nomi intercambiabili per chiamare questo stravagante apolide nato nel 1924 in Francia da genitori ungheresi e con alle spalle una travagliata gioventù fuggiasca trascorsa a Praga. Un ragazzo senza fissa nazionalità fuori dal campo, un attaccante dalle indubbie qualità dentro il rettangolo verde: statura medio-bassa, coraggio da leone, muscoli rapidi e potenti, tiro al fulmicotone, straordinaria capacità di effettuare rimesse laterali sino a quaranta metri, un giocatore progettato per il gol e per entusiasmare le folle. Amante della bella vita e dei locali da ballo, delle auto americane e del rischio (calcio, biliardo o poker non faceva alcuna differenza): centravanti eccentrico ma sublime, un vivace zingaro pieno di amici che sul manto erboso adorava fasciare i suoi fantastici piedi con cavigliere bianche poste sopra i calzettoni e nei tabarin dava invece sfogo a tutta la voglia di vivere che il recente e drammatico periodo bellico aveva forzatamente tarpato. Erano gli anni Cinquanta del capoluogo meneghino: quelli che videro il Milan tornare a vincere uno scudetto dopo quarantaquattro lunghissime stagioni e l’Inter consolidare la propria tradizione di club fremente e aristocratico sbocciato il 9 marzo 1908 dall’ispirazione del pittore Giorgio Muggiani, gli anni romantici della malavita non violenta e di “Miracolo a Milano”, premiato e discusso film di Vittorio De Sica che segnò un’epoca, l’epoca di cui Nyers fu protagonista assoluto guidando, assieme al favoloso estro di un altro paio d’irrequieti artisti offensivi come il toscanaccio Benito Lorenzi e lo svedese “Nacka” Skoglund, la squadra allenata dal dottor Alfredo Foni al raggiungimento di due tricolori consecutivi nel 1953 e nel 1954.
Il secondo di questi giunto, prima di lasciare la Madonnina con destinazione Roma giallorossa, in coda all’ultima stagione del bomber-giramondo all’ombra del Duomo: un’annata iniziata però dal fenomenale Istvan – causa perdurante diatriba col poco malleabile presidente nerazzurro Carlo Rinaldo Masseroni, che non voleva concedergli il tanto richiesto aumento di stipendio e diede dunque a Foni l’ordine di metterlo ai margini – solo l’1 novembre 1953 in occasione del match contro il Milan degli assi scandinavi Nordahl e Liedholm. Una gara di cui Nyers, finalmente ottenuto l’agognato ritocco d’ingaggio più per merito delle pressioni dei consiglieri che per volontà dello stesso Masseroni (il quale, per protesta, disertò la stracittadina), fu star incontrastata grazie alla realizzazione delle tre le reti che firmarono il netto 3-0 ai danni dei rivali rossoneri: tripletta memorabile del “Grand Etienne” per uno dei dieci derby maggiormente sfavillanti della saga del Biscione, una gloriosa epopea attraversata dalle indimenticabili gesta di un campione dall’incerta provenienza da 133 gol in 182 partite disputate.
Il primo di una lunga e leggendaria serie di fuoriclasse stranieri protagonisti con la casacca della Beneamata, a dispetto di tutti quei grotteschi arrampicatori di specchi che, quando non sanno a cosa appigliarsi pur di attaccare la società di Massimo Moratti, utilizzano la noiosa e ritrita scusa dei pochi italiani presenti all’interno della formazione nerazzurra: chi conosce il calcio sa invece benissimo che a contare sono esclusivamente le qualità degli atleti a disposizione e non certo il loro paese d’origine, tant’è vero che ad esempio non ci sarebbe stato alcun epico ed invidiato Triplete se l’Inter avesse per assurdo avuto tra le sue fila i nostranissimi Abate, Chiellini, Antonini, Borriello e Iaquinta al posto dei vari Maicon, Samuel, Zanetti, Eto’o e Milito (quest’ultimo, magnifico eroe di molte e vittoriose sfide infuocate tipo quella dello scorso 3 novembre nello stadio di una Juventus che, al termine di quarantacinque minuti di vergognosa farsa, stava ingiustamente riuscendo ad accaparrarsi il bottino grazie ai soliti, irritanti, evidentissimi e storicamente certificati errori arbitrali a favore). Onore dunque al gitano del gol Stefano-Istvan-Etienne, che ha avuto il privilegio di trovarsi dappertutto a casa propria come può accadere unicamente, per dirla con una citazione del romanziere francese Honoré de Balzac, “ai ladri, ai re e alle prostitute”. Nyers, morto in povertà a Subotica nel giorno del novantasettesimo compleanno del Biscione, è stato indiscutibilmente un re. Il re apolide.
Pierluigi Avanzi
Autore: Redazione FcInterNews / Twitter: @FcInterNewsIt
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