“La scelta è dolorosa ma sono sicuro che non potrei eguagliare il risultato incredibile appena raggiunto”. Addio cara Patria livornese, Walter ha ormai deciso. In una sola stagione sportiva ha dato tutto. Anzi di più, riportando il Livorno a giocare contro l’Inter, la Juventus, squadre con cui non combatteva da più di mezzo secolo. Era il 1949, un altro mondo, e l’Italia era ancora in ginocchio dopo la guerra quando l’undici labronico calcava i campi della serie A. Ora quell’anno entra in archivio, si fissa su una pagina del libro societario, s’imprime negli almanacchi da dove non ne uscirà più se non per le statistiche. Oggi si sottolinea a doppia riga di penna la stagione 2003/04 come quella della risalita dagli inferi delle serie minori. Ma Walter non può fermarsi. Riparte, deve ripartire, per un’altra tappa del suo viaggio. Forse non si è neanche girato indietro quel giorno in cui andava via. Non per superbia, per non piangere. In valigia la gratitudine calcistica eterna dei livornesi, di nuovo protagonisti nell’Italia del pallone. Cambia ancora il mare davanti alla sua nuova casa. L’oggi e il domani sono tutti racchiusi dentro quella città chiamata Reggio Calabria. E per capire cosa rappresenta per Walter quel luogo sospeso tra terra e mare conviene raccontare quest’altro pezzo della sua vita partendo… dalla fine. La gioia di tutta una città nasce dal campo, coi giocatori che saltano e gridano, e come un’onda arriva fino all’ultimo gradone degli spalti coi tifosi che anche loro saltano e gridano, poi, da qui, ridiscende e riempie gli spogliatoi coi giocatori, i dirigenti e i familiari che saltano e gridano ancor di più perché tutto rimbomba, poi la gioia risale, risale ancora verso i tifosi e lo stadio Granillo non riesce più a contenerla, così l’onda di gioia inonda e bagna tutta la città fino a ubriacarla per finire la sua corsa dentro il mare… e ritornare… in un movimento infinito di onde. Walter è euforico: “Abbiamo fatto qualcosa di straordinario, ancora non ci credo. Nel girone di ritorno abbiamo fatto un miracolo. I ragazzi sono stati superbi hanno lottato con il cuore “– dice ai giornalisti il 27 maggio 2007. La Reggina ha vinto il suo scudetto. Si è salvata. Beh…potrebbero sentenziare tutti, in ogni campionato c’è sempre qualcuno che si salva e qualcuno che retrocede. Sì… ma provate voi a salvarvi da una retrocessione sicura, perché undici punti di penalizzazione in classifica vogliono dire retrocessione sicura in un campionato di A, non di B con tutte quelle partite da giocare. Sicura. Non per Walter Lone Wolf. Lui non si scompone. Timone a dritta dentro la tempesta perfetta. Perché dall’altra parte c’è il sereno. L’enormità dell’impresa che ha davanti, l’idea che sia durissima farcela, quasi impossibile, la tiene sempre dentro di sé, ai giocatori trasmette solo certezze. La riduzione della penalizzazione della Reggina – coinvolta nel processo di Calciopoli dell’estate 2006 - arriva il 12 dicembre 2006. Dal meno 15 punti deciso dalla Corte Federale, la squadra si trova ad avere una riduzione di 4 punti della penalizzazione da parte dell’Arbitrato del Coni. “Sull’Arbitrato non voglio spendere troppe parole – dirà Walter - credo sia un parziale risarcimento per le troppe decisioni arbitrali avverse avuto in questo inizio di stagione”. E’ il dare fuoco alle polveri. Dopo i 23 punti del girone di andata, arriveranno i 28 del ritorno che porteranno alla salvezza. Il ricordo di Nicola Amoruso: “E’ uno dei migliori allenatori che ho avuto in carriera e con cui ho tuttora un grandissimo rapporto. Sulle sue qualità c’è poco da discutere in quanto sta dimostrando tutto il suo valore. Sulla salvezza raggiunta con la penalizzazione c’è da dire che ha avuto enorme merito. Ci ha motivato fin dalla prima sentenza che ci faceva partire da -15 in classifica. Ha fatto un grandissimo lavoro tecnico, tattico e soprattutto psicologico”. In quella stagione 2006/07 Amoruso stabilirà il record personale di gol in A con 17 marcature, il suo partner d’attacco Rolando Bianchi ne segnerà 18. “Tutti la chiamavano la Reggina dei miracoli – dirà un giorno Walter - con Amoruso, tornato più forte di quando era ragazzo, o Bianchi poi venduto in Inghilterra. Ma ci sono stati anche Mesto, Modesto, Lanzaro, Alessandro Lucarelli… E poi in precedenza Vigiani, Amerini, Cozza, Nakamura… l’ultimo anno di Reggio lo considero un capolavoro di mentalità e organizzazione. La rosa del primo anno era superiore a quella dell’ultimo ma alla fine eravamo diventati una macchina semi-perfetta”. Una macchina in simbiosi con la città. “Un giorno – ricorderà Walter - mi sono fermato a cenare in un ristorante a Bellinzona e il proprietario era calabrese. Appena mi ha riconosciuto mi ha abbracciato e ringraziato. Questo mi ha fatto capire di essere entrato nel cuore della gente comune”. Lui, livornese, è come fosse diventato reggino,”tutti pensano che il lavoro sia stato il lato principale è forse è anche così visti i risultati. Invece il lato umano lo ha pareggiato”. Walter, a Reggio, aveva una casa stupenda sul mare, “mi alzavo alla mattina, andavo in terrazza e vedevo laggiù lo Stretto con l’Etna in lontananza”. E Lone Wolf quasi si commuove al ricordo, “una presenza familiare quella del vulcano per chi vive in modo appartato come faccio io”. Walter non dimentica nulla. Impressi nella sua mente ci sono anche le cene all’ultimo piano dell’hotel Excelsior sempre con vista sul mare e le passeggiate su via Marina, il lungomare che Nando Martellini in una lontana telecronaca del Giro d’Italia definì “il più bel chilometro d’Italia”, attribuendo la frase a Gabriele d’Annunzio. Successive ricerche storiche non la confermarono come pronunciata dal Vate, ma resta la bellezza del luogo. “Camminavo da solo anche più di mezz’ora, mi serviva per rimettere insieme i pensieri. Unica compagnia quella della sigaretta. Lo so che il fumo è un difettaccio ma è l’unico vizio che ho… Un allenatore vive da isolato, rimurgina e rimurgina tra sé e sé, il pacchetto di sigarette è un sostegno”. Dopo il tredicesimo posto del 2004/05, il quindicesimo del 2005/06, è arrivato questo miracolo (senza la penalizzazione la Reggina avrebbe conquistato l’ottavo posto) che di miracolo non ha niente. Trattasi solo di lavoro e di passione. Totali. “Il mio futuro? – dirà Walter dopo l’impresa – fatemi riposare un paio di giorni e poi ne riparleremo”… Dove va Mazzarri?, si domandava subito la stampa. Era chiaro che Walter aveva già offerte da altre squadre. Lone Wolf dopo aver domato Scilla e Cariddi - i due mostri che secondo la mitologia greca presidiavano lo Stretto e assaltavano le navi che vi transitavano – dice addio all’amata Reggio di cui è diventato cittadino onorario.
“Ha sposato il progetto e pure gli uomini – scriveva la Gazzetta del 6 giugno 2007 nel raccontare lo sbarco di Walter a Genova lato Samp – perché qui c’è un grande rispetto dei ruoli e delle regole”. Mazzarri firma un contratto biennale con opzione per il terzo. Nel capoluogo ligure il viaggio in auto dalla casa di Rapallo al campo di allenamento di Bogliasco è per Walter il momento privato della giornata, la sua mezz’ora d’aria su uno dei litorali più belli al mondo. “Poi mi tuffo nel lavoro e l’orologio non lo guardo più. A volte mi dimentico persino di mangiare”. Anche i sampdoriani si accorgono ben presto che per Walter è proprio un vizio (non la sigaretta). Quello di rianimare i bomber che per tutti gli allenatori sono finiti. Dopo Cristiano Lucarelli, Amoruso, Bianchi, Bellucci, ecco Pazzini. Il “Pazzo” si trasferisce alla Samp dalla Fiorentina nel mercato invernale del 2009 in cambio del cartellino di Bonazzoli e una cifra intorno ai 9 milioni. Segna il suo primo gol in maglia blucerchiata in Coppa Italia contro l’Udinese il 21 gennaio. Con le indicazioni di Walter in panchina e gli assist di Cassano in campo non si fermerà più. Con Cassano sarà la riedizione del film i gemelli del gol con Vialli e Mancini. Già Cassano…Fantantonio è ormai trasformato dalla cura Mazzarri. Il 13 agosto 2007 arrivava alla Sampdoria dal Real Madrid un giocatore pesante nel corpo e nella testa. A soli 25 anni sembrava destinato a un lento ma inesorabile declino. Alla fine di quella prima stagione segnerà 10 gol in 22 presenze oltre a sfornare tanti assist per i compagni. Cassano non gioca più da solo, si è calato completamente nella squadra. Walter gli ha fatto capire che per esprimersi al meglio deve giocare un calcio propositivo, con i compagni e per i compagni. A Cassano, Walter infila una camicia nuova. Fatta di sacrifici nell’allenamento e nell’alimentazione. Giorno dopo giorno, da splendido solista, diventa la voce più importante del coro. E migliora persino sotto il profilo caratteriale. Ma Walter non si prende tutti i meriti: “Non sta a me dirlo. Io devo produrre risultati con il gruppo a disposizione. Cassano è una fuoriserie. Ma perché vinca una gara occorre che tutti, meccanici e compagni svolgano il loro lavoro alla perfezione in pista e fuori. La gara della domenica non l’unica cosa importante, lo è la credibilità di ogni giorno. Sono felice per la dedizione che Cassano sta mettendo negli allenamenti. Personalmente rimarrà incancellabile il suo abbraccio dopo il suo primo gol.” Alla prima stagione, Walter porta la Samp al sesto posto con qualificazione all’Intertoto. Nel 2008/09 la squadra chiude in 13° posizione ma va avanti in tutte le competizioni. Arriva ai sedicesimi di Coppa Uefa e alla finale di Coppa Italia. In semifinale l’incrocio con la prima Inter targata Mourinho. Ecco Mazzarri dopo Inter-Sampdoria 1-0 partita di ritorno – all’andata la Samp dominò i nerazzurri vincendo 3-0 con gol di Cassano e doppietta di Pazzini - “i nerazzurri hanno sofferto il nostro gioco la nostra pressione e alla lunga hanno dovuto sfruttare i lanci lunghi verso gli attaccanti. Invece, Mourinho, sostenendo che noi non avevamo giocato, è riuscito ad allontanare l’attenzione dai problemi della sua squadra. Tutto qui, per amore di verità. E per non passare per stupido perché alla fine tra i due non c’è nulla di personale. Poi non sta a me giudicare i risultati del sottoscritto. E dico solo che Mourinho è arrivato all’Inter dopo aver lavorato tanto come allenatore”.
Già la Coppa Italia. Croce e delizia. La Samp arriva a Roma per affrontare la Lazio in finale accompagnata da 19 mila tifosi. Saranno due ore di battaglia sportiva. Al gol di Zarate dopo quattro minuti risponderà Pazzini al trentesimo minuto. Il pari non si sbloccherà neanche coi supplementari. Dal dischetto saranno fatali gli errori di Cassano e Campagnaro (Rocchi sbaglierà per i biancocelesti). Ecco Walter la sera del 13 maggio 2009 con al collo la medaglia d’argento, “peccato questa finale persa ai rigori, sarebbe stato il coronamento di queste due stagioni meravigliose. La prima è stata straordinaria. Questa ultima, superlativa. Sarebbe stata da incorniciare se un rigore, uno solo, il tredicesimo della finale dopo due ore di battaglia fosse finito dentro anziché fuori. Non ho nessun rimpianto, in carriera mi sono sempre dovuto sudare ogni cosa acquisendo comunque un bagaglio incredibile di esperienze. Rifarei tutto” E la Gazzetta del 22 maggio 2009 a raccogliere le parole di bilancio di Walter alla Sampdoria. “Il campionato è stato messo al sicuro in largo anticipo. E sino a due mesi fa eravamo in corsa su tre fonti. In Uefa abbiamo raggiunto i sedicesimi centrando il record storico di dieci risultati utili nelle coppe. E non eravamo partiti per spaccare il mondo. E’ sempre opportuno cogliere il senso della realtà, il risultato rapportato al budget. Il record di gol di Pazzini e il Cassano rigenerato? Parlano i fatti ma devo estendere i meriti al gruppo. Si parla di un nuovo tecnico? Non voglio toccare l’argomento. A fine stagione come sempre parlerò con la società e decideremo”. Pochi giorni dopo arriverà il comunicato che le strade di Mazzarri e della Sampdoria si separeranno. Una scelta di comune accordo. Una volta Walter disse: “non faccio il pr di me stesso. Credo che i dirigenti sappiano distinguere il valore di un tecnico dalla sua forza mediatica”. Sarà così.
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