“Se ho ben capito questa è l’Inter che muore!”
“Ma no, amici miei – spiega il commendatore Moratti all’assemblea riunita dei soci – al punto in cui siamo, faremmo ridere se indossassimo ancora i panni del novecentotto, rendetevene conto, io sono innamorato della nostra Inter, lo sapete, e vi dico che non muore. D’altronde, nella vita, ogni morte è compensata da nuove nascite…”
Andò proprio così in quel giovedì 15 giugno 1967, anzi, ormai venerdì perché l’orologio batteva l’una di notte. Fuori pioveva mentre l’Inter si trasformava da Club a Spa. Un passaggio obbligato per entrare nel futuro, un passaggio che un anno dopo avrebbe portato a un pesante addio…
Angelo Moratti lascia l’Inter. Il presidente che ha guidato la società nerazzurra alla conquista di tre scudetti, di due titoli di campione d’Europa e di due di campione del mondo, ha comunicato ufficialmente il suo proposito di dimettersi dalla presidenza dell’Internazionale Foot-ball Club. E’ il 14 maggio 1968 e dopo tredici anni di densi trionfi, l’Angelo, come è chiamato con affetto da chi gli vuole bene, annuncia il congedo. Le dimissioni vere e proprie sono ratificate sabato mattina 18 maggio nella riunione del Cda; nel pomeriggio gli succede il cinquantenne vicepresidente Ivanoe Fraizzoli. “Sono arrivato alla decisione di dimettermi da 14 mesi, ma non ho potuto realizzarla perché non volevo andarmene prima di avere regolarizzato la costituzione della società per azioni. Le gioie più belle me le ha date l’Inter ed è naturale che lasci la presidenza con grande rimpianto. Ma ritengo logico il cambio della guardia perché come si cambiano giocatori e allenatori è giusto che si cambino anche i presidenti…” Si chiude un’epoca aperta sempre di maggio, il giorno 28 dell’anno 1955 al ristorante Commercio, quando Moratti, eletto per acclamazione dai soci, subentrava alla guida della società nerazzurra al posto di Rinaldo Masseroni. Il nuovo presidente Fraizzoli capisce subito la grandezza dell’eredità morattiana: “Il mio compito sarà difficile perché l’Inter è una grande società e perché succederò ad un presidente molto popolare. Sarà quasi impossibile conseguire i risultati che Moratti ha conseguito in tredici anni di presidenza”.
Un salto nel tempo ci porta dritto a metà anni 90. L’avventura di Ernesto Pellegrini alla guida dell’Inter termina la sera di sabato 18 febbraio 1995. In dieci anni, undici mesi e sei giorni di presidenza sono arrivati uno scudetto, due Coppe Uefa e una Supercoppa italiana per un investimento superiore ai 100 miliardi. Qualche minuto prima delle 20 il presidente sale ad Appiano Gentile per cenare e parlare con la squadra. I giocatori sono già informati del passaggio di consegne presidenziale; Paolo Viganò, giornalista di Tuttosport, ne aveva già parlato con capitan Bergomi. Il momento è di grande emozione e commozione. “Da voi mi aspetto molto – dice Pellegrini – a cominciare dalla partita con il Brescia di domani. Siete bravi e io ho sempre creduto in voi, non deludetemi. Sono tranquillo e sereno perché sono convinto di avere fatto la cosa più giusta. Cedere l’Inter a Moratti era la soluzione migliore, per il bene di tutti.” L’Inter torna in famiglia. Il cerchio – aperto dal quel 18 maggio 1968 con l’addio di Angelo – si chiude. Il presidente della Beneamata è Massimo, 49 anni, sposato con Milly, cinque figli, consigliere delegato della Saras, quarto figlio del Cavalier Angelo. A volte, nella storia, i numeri ritornano. Ritornano con il loro significato, la magia, il romanticismo. Il 18 giugno 1933, Erminia Cremonesi, tifosissima nerazzurra, da poco diventata Moratti, porta il marito allo stadio Testaccio di Roma. In scena Roma contro Ambrosiana-Inter. Peppino Meazza delizia la folla e segna il gol della vittoria. Negli occhi di Angelo restano quelle immagini che ventidue anni dopo lo porteranno all’acquisto dell’Inter. Massimo diventa il 18° presidente della storia della Beneamata il 18 febbraio, dopo aver deciso di mandare una lettera a Pellegrini, datata 18 gennaio. Un mese di trattative nelle quali ha giocato un ruolo non irrilevante l’avvocato Prisco, trait–d’union nerazzurro. Via Sant’Andrea, angolo via Pietro Verri, venerdì 13 gennaio 1995, l’avvocato Prisco cammina nel centro di Milano e incontra Massimo Moratti.
“Massimo, che si fa?” – gli ha sempre dato del tu visto che lo conosceva da quando aveva 10 anni – “Bisogna decidersi. I tifosi premono, la squadra traballa”.
“Lo so. Credo sia arrivato il momento”.
“Che cosa ne dici: mando una lettera a Pellegrini?”
“Va bene, ma non oggi. Il 13 porta male…”
“D’accordo”.
L’avvocato, mercoledì 18, scrive poche semplici e chiare righe:
“Caro Ernesto, Massimo Moratti intende acquisire il pacchetto di controllo della società, attende una tua telefonata”.
Pellegrini riceve la lettera ma rimane sul vago. Troppo è l’amore per l’Inter per pensare di lasciarla. Sarebbe una rinuncia enorme. Moratti e Pellegrini si erano già incontrati il 26 ottobre dell’anno precedente. Avevano affrontato discorsi extracalcistici e sull’eventualità di vendere da parte di Pellegrini solo un timido accenno, con Moratti che aveva parlato della sua disponibilità ad acquistare.
Ricordava l’avvocato Prisco: “Da tempo aleggiava la possibilità, l’idea di un cambio presidenziale anche se io sono sempre stavo governativo. Ho affiancato il governo di Rinaldo Masseroni dal ’49 al ’55, di Angelo Moratti dal ’55 al ’68, di Ivanoe Fraizzoli dal ’68 all’84 e di Ernesto Pellegrini e un governo forte significa una guida sicura, tiene viva la tradizione, innovando quanto necessario. Però all’indomani della finale di coppa Uefa vinta con l’Austria Salisburgo, qualcuno affermò che con il doppio palo centrato dagli austriaci io ero stato retrocesso nella classifica dei supertifosi interisti. Mi aveva scavalcato il Padreterno che ci aveva salvato. Un segno del destino. Quello era, secondo me, il momento di vendere ma Pellegrini rilanciò, da ottimo presidente quale era, investendo un altro pacco di miliardi.”
Nella trattativa, Prisco, non è stato né il mediatore né il grande tessitore. Esisteva una volontà precisa sia di Moratti sia di Pellegrini. L’avvocato è stato un punto di appoggio su cui risollevare il pallone nerazzurro. E ha cercato di coprire gli incontri tra le parti, visto che erano braccati dai giornalisti, ricorrendo a qualche trucchetto. “Dissi che l’incontro fra Pellegrini e Moratti – già avvenuto il 27 gennaio – si sarebbe effettuato il martedì successivo. Ma accadde una circostanza curiosa. Lascio il mio studio e mi avvio in corso Monforte 2 sede del colloquio. Arrivo ed entro spedito in un ufficio. Mi ero sbagliato, era la sede di una ditta di orologi. Mi vede la custode e mi dice candidamente: “Guardi che probabilmente deve salire nell’altra scala, al secondo piano.” Altro che segretezza! La sera del 23 gennaio Prisco era stato a casa di Pellegrini, dove era riunita l’altra cordata di imprenditori candidata all’acquisto dell’Inter, parlano, poi chiede di chiamare un taxi. Fuori stazionava qualche giornalista. La signora Ivana, moglie di Pellegrini, si offre di accompagnare Prisco in macchina. “Meglio di no – le dice Prisco – altrimenti diranno che oltre alla squadra voglio portare via a suo marito la moglie…” Mentre torna a casa l’avvocato ha il timore che la trattativa con Moratti potesse saltare. Fu lo stesso Moratti a mostrargli tranquillità, poi Pellegrini che stava soppesando le offerte gli disse:
“Peppino, devo scegliere…”
“Moratti, presidente, Moratti!”
Poi, finalmente, nei primi giorni di febbraio cala un certo silenzio sulla vicenda e le parti trattano con serenità. Il 17 febbraio, nel pomeriggio squilla il telefono di casa Prisco. Era Pellegrini.
“Peppino, sei il secondo a saperlo dopo mia moglie. Sono qui con Massimo e stiamo brindando con champagne accompagnato da salame. Tutto a posto.”
Alla cornetta arriva Massimo.
“Tutto a posto, c’è l’intesa.”
Prisco li saluta e mette giù il telefono. “Per un attimo mi sentii spaesato – ricordava con emozione l’avvocato - con Pellegrini avevo lavorato benissimo per undici anni. Ricominciava l’era Moratti e non saprei proprio cosa aggiungere a quanto è stato detto di bello sui Moratti.” Le firme sono poste il 18 alle ore 13.30 nello studio in zona Fiera del dottor Antonio Faraone, commercialista di Pellegrini. Il giorno 21, dopo il buon viatico della vittoria per 1-0 contro il Brescia e l’ovazione dello stadio al suo apparire in tribuna, viene il giorno di Massimo in piazza Duse. In perfetta solitudine mette piede per la prima volta alle 9.15 nella sede nerazzurra. Elegante e sorridente incontra tutti i dipendenti. Moratti ha parole di particolare affetto nei confronti della signora Ileana, storica segretaria dell’Inter, assunta in società proprio dal padre Angelo. Le stringe la mano e le regala una battuta: “Ecco l’ultima assunta dell’Inter…”.
Maggio, il mese delle rose che porta all’estate. Maggio dell’anno 2013, il mese delle trattative e dei cambiamenti, se fioriranno. Un’estate che per i tifosi dell’Inter sarà calda, molto calda. Si annunciano rivoluzioni sia in società sia in squadra. Sul fronte proprietà, dopo l’evaporazione dei cinesi, l’Inter punta decisa ancora ad est e l’Indonesia sembra essere il Paese dal quale arriverà un nuovo socio. Il come e il quando è ancora tutto da scrivere ma il perché è ben chiaro: per garantirsi un futuro roseo con nuovi capitali che portino anche alla costruzione di uno stadio di proprietà, operazione non più rinviabile per riposizionare l’Inter nel Gotha delle squadre europee e mondiali. Il livello naturale dei nerazzurri, per storia e blasone. Massimo Moratti è deciso nella volontà di mantenere la maggioranza del pacchetto azionario. Troverà un socio disposto ad “accontentarsi” di una quota di minoranza? O l’operazione porterà in un futuro prossimo alla vendita della società? La storia racconta che i Moratti – a oggi – hanno coperto trentuno anni su centocinque di vita dell’Inter e ne hanno firmato i maggiori trionfi. Una storia che ha visto un figlio imitare, se non superare, il padre conquistando 5 campionati, 4 Coppe Italia, 4 Supercoppe di Lega, 1 Coppa Uefa, 1 Champions League e 1 Mondiale per Club. Una storia che ha visto un padre acquistare, investire e vendere – per amore – l’Internazionale. Una storia che ha visto un figlio acquistare, investire e che vedrà, un giorno, vendere – per amore – l’Internazionale, aprendola al mondo come è scritto nel suo nome (… si chiamerà Internazionale perché noi siamo fratelli del mondo). “Dovresti vedere se si può prendere l’Inter mi diceva mio padre – ricordava un giorno Massimo – perché un’esperienza nel calcio va fatta, aiuta a crescere, a soffrire, a migliorare. Il calcio non è una semplice industria, non bastano i bilanci a posto, ci vogliono passione, coraggio, sogni. Il dividendo, per me, è l’entusiasmo dei tifosi”.
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