La campagna promozionale lanciata da Sky Sport nelle scorse settimane, che gioca sul concetto della battaglia navale tutti contro tutti e che ha come testimonial i principali giocatori delle rappresentanti italiane nel torneo con un Lautaro Martinez in versione Jack Sparrow che carica la ciurma al grido di ‘Vamos a ganar’, è stata oggettivamente un’idea vincente, al punto da far parlare di sé anche oltre i confini nazionali. Pubblicità decisamente azzeccata, accattivante l’idea della caccia all’isola del tesoro più prezioso d’Europa dei 36 equipaggi; questo perché simboleggia al meglio anche la metafora del viaggio lungo a solcare un mare che mai come da quest’anno appare sconosciuto e ricco di insidie nascoste. Questo è il mare della nuova Champions League.
L’edizione 2024-2025 della principale competizione continentale è nata ufficialmente ieri, col primo blocco di partite che hanno visto, tra le altre, partire alla grande la Juventus che ha fatto ciò che ha voluto del PSV Eindhoven e malissimo il Milan, demolito dal Liverpool e fischiato dai fifosi dopo un illusorio vantaggio. È stato squarciato così il velo su questo tanto annunciato nuovo format, visto che si è consumato il primo atto della nuova versione del torneo: basta con i gironi da quattro che dal 1991-1992, sotto diverse vesti, ha caratterizzato la formula della competizione, largo alla novità della classifica unica, studiata come deterrente alla minaccia della Super League, con 36 squadre in un unico pentolone, otto incontri con avversari tutti diversi (e inizialmente avrebbero dovuto essere 10), tabellone finale in stile bracket NBA con le squadre abbinate in riferimento alla classifica della League Phase. Il tutto, ispirandosi al concetto del ‘sistema svizzero’, un meccanismo che contraddistingue tornei di sport quali scacchi e bridge e che si basa su un principio preciso: accoppiare, nell'ambito di un determinato torneo, giocatori che abbiano accumulato un punteggio uguale o simile, anche per garantire maggiore spettacolo e intensità degli incontri.
Ma se questo sistema cervellotico ben si addice a sport dove il cervello, l’ingegno e la finezza mentale la fanno da padrone, a prima vista poco ha a che vedere con tornei come quelli di calcio dove la componente aritmetica e logica ha un peso, fatte le debite proporzioni, decisamente inferiore se paragonato ad altri fattori, non ultimo anche la fortuna. E tralasciando il fatto che il sorteggio di fine agosto ha in qualche modo perso il grande fascino e l’aura che accompagnavano un momento diventato un vero e proprio rito, tramutato in una velocissima rassegna degli incontri di ciascuna squadra, confinata in un angolino in basso a sinistra nello schermo con conseguente mal di testa e ansia da parte di addetti ai lavori e appassionati, l’unica conseguenza sin qui certa di questa rivoluzione tanto voluta dalla UEFA è quella di aver allungato la Champions con due partite in più e conseguente ingolfamento del calendario.
Salpano i 36 bastimenti, pronti ad intraprendere un’avventura in un mare sconosciuto, che impone agli allenatori e ai giocatori nuove metodologie di preparazione delle partite, nuove abitudini nella gestione degli avversari, insomma nuove fatiche. Ed è forse logico che, almeno per il momento, sono più le voci che esprimono scetticismo e non entusiasmo di fronte a questa nuova prospettiva: da Carlo Ancelotti, il re di Coppa per antonomasia, che chiede un dialogo aperto con le istituzioni calcistiche, al portiere del Liverpool Alisson Becker che lamenta la totale insensibilità verso il parere dei calciatori, coloro che alla fine questo spettacolo lo alimentano con le loro prestazioni. Un mare che fra qualche ora sarà solcato anche dall’Inter, che arriva a questo primo appuntamento europeo probabilmente con più interrogativi che certezze. Va però detta tutta: l’inizio dell’avventura in Champions è da ritenere cruciale, quasi salvifico, anche se arriva nel bel mezzo di una settimana rovente che culminerà col derby di domenica sera.
Questa sera, all’Etihad Stadium di Manchester, andrà in scena il remake della finale del 2003 di Istanbul contro il Manchester City di Pep Guardiola. Meglio chiamarla remake questa sfida, perché è inopportuno, per valore e proporzione della posta in palio, parlare di rivincita di quella serata turca dove i nerazzurri intascarono tanti complimenti e tante consapevolezze ma alla fine videro volare la coppa oltre la Manica, e alla fine ciò che rimane stampato negli archivi è quello. Per parlare di rivincita vera magari ci sarà tempo, del resto raramente lo sport non concede, prima o poi, una seconda opportunità (un episodio di questo tipo i tifosi interisti lo hanno vissuto alle 22.43 di un giorno di fine aprile). Di uguale, rispetto a quel 10 giugno, sono rimasti i complimenti del tecnico catalano verso i prossimi avversari, sempre sul filo sottile tra la stima reale e il tentativo di captatio benevelontiae come del resto visto anche con Thomas Frank, tecnico del Brentford recentemente sconfitto in Premier League.
Dal canto suo, Simone Inzaghi, che nel prepartita ha difeso con parole chiare Lautaro Martinez e fatto capire che le rotazioni specie in questo momento diventano un obbligo prima ancora che una necessità, potrà approfittare di questo primo crash test europeo per cominciare a tirare una riga e fare delle prime valutazioni sulla base di dati più completi su come affrontare e che indirizzo dare a questa stagione che si preannuncia estenuante, con tanto di Mondiale per Club tanto strombazzato dalla FIFA che se la nuova Champions si gioca comunque il jolly del fascino e della storia della competizione, tanti auguri alla federazione internazionale chiamata a creare un hype intorno ad un torneo ancora immerso nelle nebbie e osteggiato anche ferocemente dai protagonisti. Perché forse, più della sbornia post-Scudetto come qualcuno crede o vuole illudersi, la causa di questo inizio un po’ accidentato, che comunque accomuna l’Inter agli altri club italiani, sta nel fatto di dover capire ancora la gestione di una situazione inedita anche allo scopo di prevenire problemi di ogni sorta. Di certo, i ritardi di condizione e i continui stop-and-go per infortuni e problemi di salute non possono aiutare.
I soliti disfattisti già sono pronti a prevedere una serata nefasta, dimenticando il fatto che spesso la prima giornata di Champions comunque riserva sorprese e mai come quest’anno con questa formula allargata qualche colpo di scena può scapparci, e soprattutto che sempre questa nuova formula consente margini più ampi per riparare ai passi falsi anche se poi il riverbero negativo si può sentire in fase playoff. Soprattutto, la fama dell’Inter in ambito europeo, volenti o nolenti, si è rinforzata, e se i nerazzurri sono dati da pronostici e statistiche varie come gli ‘underdog’ più accreditati alle spalle delle grandi favorite, Guardiola o non Guardiola, un motivo deve pur esserci…
Inzaghi, come tanti altri, cercherà da questa serata le prime risposte ai dubbi che permeano questa lunga e tortuosa navigazione che porterà uno solo dei 36 vascelli a tornare in porto con nella stiva quella che gli spagnoli chiamano simpaticamente la Orejona. Anche se qui, più che le orecchie del trofeo, grandi sembrano essere i dubbi, le ansie, lo scetticismo. Prima o poi ci abitueremo tutti, probabilmente: alla fine, lo spettacolo è sempre quello annunciato da un inno diventato parte di noi…
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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