"Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani" recita l'Articolo 7 della Costituzione nella sezione dedicata ai 'Principi Fondamentali'. Nei fatti concreti, però, di "indipendenza" non c'è traccia. L'ennesima testimonianza è arrivata negli ultimi giorni, dove l'Italia si è dimostrata ancora una volta uno Stato laico solo sulla carta. O, se preferite, a convenienza. Tra le tante conseguenze generate dalla morte di Papa Francesco, venuto mancare nell'immediata mattina dopo Pasqua, non ci sono infatti solo l'aumento dei pellegrinaggi dei fedeli verso Roma, gli attesi funerali in Piazza San Pietro o il classico rito del Conclave. Una delle sfere invase dal lutto della morte del Santo Padre è anche quella del mondo del pallone, con il campionato di Serie A che prima ha visto il rinvio delle quattro partite calendarizzate a Pasquetta (Cagliari-Fiorentina, Genoa-Lazio, Parma-Juventus e Torino-Udinese) alla giornata di oggi, mercoledì (che per la cronaca rientra nei cinque giorni di lutto nazionale deliberati dal Consiglio dei ministri, ma tant'è...) e poi la sospensione del campionato di calcio nella giornata di sabato, giorno in cui sono invece fissati i funerali di Bergoglio. Domenica, invece, le partite di Serie A si giocheranno regolarmente senza variazioni, così come le semifinali di Coppa Italia (stasera Inter-Milan, domani Bologna-Empoli). Insomma, tanta confusione e un pasticcio all'italiana.

Per evitare qualsiasi tipo di fraintendimento, meglio chiarire: è giusto osservare il lutto e onorare la perdita di Papa Francesco, ma è anche assodato che in uno Stato laico la vita non può fermarsi. E probabilmente avrebbe voluto questo anche il Papa stesso, che durante la sua vita non ha mai nascosto il suo amore per lo sport, per il calcio e per i suoi valori. Comprensibile, dunque, il rinvio delle partite del lunedì per rispetto e per l'impatto della triste notizia; meno comprensibile (per non dire senza senso) il rinvio delle partite del sabato che si giocano a distanza di ore dalle esequie del Papa e soprattutto lontano dalla Capitale, dove invece è obbligatorio slittare Lazio-Parma per ovvie questioni di ordine pubblico. La decisione di bloccare tutte le manifestazioni sportive (in particolare del calcio italiano che ha a che fare con calendari intasatissimi) nel giorno dei funerali, appare più come un'inutile mossa di coscienzioso servilismo politico per strizzare l'occhio al Vaticano e alla Chiesa. Che, come ricorda l'Articolo 7 già citato in precedenza, dovrebbe - e a questo punto il condizionale è d'obbligo - essere "indipendente e sovrano", così come lo Stato. E a maggior ragione lo sport. 

Invece no. Il CONI, recependo le indicazioni contenute nel DPCM di ieri, ha invitato "le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate e gli Enti di Promozione Sportiva a sospendere ogni evento sportivo in programma sabato 26 aprile, nella giornata delle esequie del Santo Padre Francesco". Per l'Inter, nello specifico, la decisione di traduce in un giorno in più di riposo tra la meno ambita Coppa Italia e il campionato e, soprattutto, in uno in meno tra lo scontro con la Roma e l'andata della semifinale di Champions League contro il Barcellona. Che invece giocherà di sabato e che, nel frattempo, avvia battaglie legali contro Liga e Federcalcio spagnola pur di risparmiare qualche ora di fatica in vista del secondo round di San Siro. In Italia si prendono certe decisioni, in altri Paesi no. Come mai, ad esempio, proprio in Spagna (che tra l'altro è un Paese a maggioranza cattolico praticante) non si è sentito parlare di rinvio della finale di Copa del Rey in programma appunto sabato tra Barcellona e Real Madrid? Aggiungiamo anche che l'Inter, oltre ad avere un giorno in meno di riposo rispetto ai blaugrana, dovrà anche affrontare il viaggio in Catalogna. E nonostante questo ha alla fine rifiutato la deroga per poter giocare sabato stesso "per rispetto del Pontefice". 

Il danno è anche e soprattutto per i tifosi che hanno investito tempo e denaro per assistere una partita e che di sicuro non verranno rimborsati dalla Chiesa o dallo Stato (tutt'altro che indipendenti l'uno dall'altro). Di un'eventuale assoluzione dai propri peccati, in questa circostanza, la gente se ne farebbe forse ben poco. L'Italia è quel Paese dove se possono ti squalificano per una bestemmia, ma è anche quello dove non si fanno scrupoli a farti scendere in campo nel giorno di Pasqua. Il controsenso di uno Stato gestito male, che non si fa problemi a mettere in secondo piano le necessità della gente. Vero, in Italia cattolici sono una fetta importante della popolazione, ma non tutta. E con queste decisioni si finisce per penalizare chi invece non ha nulla a che fare con quella religione, che si parli di un musulmano, di un buddista, di un induista o di un ateo. Il Papa è il capo del Vaticano, non dello Stato italiano. Tanto meno del CONI, della FIGC e della Lega Serie A. Parliamo di campionato italiano o di campionato vaticano? Ok i rinvii di Pasquetta, ma nel weekend del funerale il classico minuto di silenzio avrebbe rappresentato il giusto compromesso tra il solenne ricordo di Papa Francesco e la naturale voglia di andare avanti e continuare a vivere di un Paese. Però siamo in Italia, o forse al Vaticano. E ancora facciamo fatica a comprenderlo. 

Sezione: Editoriale / Data: Mer 23 aprile 2025 alle 00:00
Autore: Stefano Bertocchi
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