Questa sera, capiremo se il Napoli ha il fiato e la grinta ancora ad alti livelli per poter resistere in questo inseguimento alla capolista che sembra col passare delle settimane uno di quei giochi basati sulle illusioni ottiche: sei punti effettivi che però potrebbero tornare tre se i partenopei faranno il loro dovere al cospetto di un Empoli tartassato dagli infortuni, in quella che ormai è diventata una stucchevole costante che ha accompagnato bene o male il cammino di tutte; tre punti che sono effettivamente pochi e che potrebbero diventare una distanza ancora più misera considerando il resto del calendario, ma nel frattempo le giornate si riducono, i punti a disposizione diventano sempre meno, e i nerazzurri rimangono lì, al vertice, così vicini e così lontani. E la pressione, in questi casi, è tutta per chi insegue.

Pressione dettata anche da quanto fatto vedere dalla squadra di Simone Inzaghi nel pomeriggio di sabato: al culmine di una giornata dove San Siro è stato, mai come questa volta, l’epicentro del mondo calcistico, e non tanto per la partita in calendario quanto perché è sbarcato nel capoluogo lombardo il trofeo del Mondiale per Club, il torneo fortemente voluto dal presidente della FIFA Gianni Infantino che segnerà l’estate calcistica del 2025, un luccicante e corposo tondo di oro zecchino (Tiffany, basta la parola) con la particolarità di essere multidimensionale, trasformandosi da semplice piatto a spettacolare gioco di orbite auree. Tutto molto affascinante, per carità, però in attesa di capire i riverberi che questa manifestazione avrà sul futuro del calcio, si può dire che per il momento si fatica a capire il nesso di un’opera così imponente con gli intrinseci valori del gioco del calcio. Ma si sa, i tradizionalisti intrisi di nostalgia nel mondo del pallone sono un po’ duri a morire…

Poi ha parlato il campo, ed è stato un bel sentire. Un bel sentire dei tifosi, che sin dalle ore precedenti la partita hanno fatto sentire il loro consueto, calorosissimo appoggio alla squadra nerazzurra al momento dell’arrivo allo stadio per poi confermarsi anche dentro. Ma anche e soprattutto un bel vedere, di una squadra che ha proseguito sull’onda lunga del colpo grosso realizzato martedì in Champions League nel gigantesco e bellissimo Schlauchboot (gommone, per i non avvezzi al tedesco) del quartiere di Fröttmaning a Monaco di Baviera andando a domare un Cagliari che pur dimostrandosi abbastanza vivace, ma che poco onestamente ha fatto al di là del gol segnato e dalle occasioni avute da Roberto Piccoli, uno che forse non ha ancora digerito quella rete che gli venne annullata nel 2021 e che sarebbe valsa il blitz dell’Atalanta, con tanto di esultanza elettrica andata a ramengo, e che quando torna a San Siro mette sempre una carica aggiuntiva alle sue prestazioni.

È stata una bella Inter, che ha dimenticato in fretta quel maledetto svarione di Parma peraltro attutito dal pareggio del Napoli a Bologna. E sì che l’inizio del secondo tempo qualche cattivo pensiero lo ha fatto balenare, facile col senno di poi dire che un’affermazione del genere è esagerata. È diventata esagerata semmai proprio per merito dell’Inter, che si è rimessa in riga dopo l’inaspettato gancio al mento ricevuto e nel giro di pochi minuti ha rimesso all’angolo l’avversario, mandandolo definitivamente al tappeto con la rete del definitivo 3-1 di Yann Bisseck. Una vittoria legittima, un altro tassello della marcia importante dei nerazzurri in questo campionato, testimoniata da quei numeri vertiginosi dei quali si è parlato ieri; e ripensandoci, viene da sorridere pensando che una squadra che ha il miglior attacco del campionato e che ha passato più di 1.300 minuti in vantaggio nel risultato non sia ancora riuscita a mettere la definitiva ipoteca sulla conquista dello Scudetto. Ma come si dice, il calcio è bello anche per questo.

Quella di sabato, comunque, è stata l’ennesima dimostrazione di forza data dal gruppo. La forza dettata dalla consapevolezza di saper usufruire al meglio dei mezzi a propria disposizione e di aver imparato ad ovviare alla costante emergenza dettata dalle assenze. Forse non ci si ricorda dell’ultima volta che Simone Inzaghi ha potuto lavorare col gruppo al completo, però si nota bene come ogni giocatore è pronto a dare tutto quando viene chiamato in causa, che ciò avvenga per necessità o per scelta tecnica. Detto di un Marko Arnautovic che negli ultimi mesi ha fatto tre volte quello che non gli è riuscito nel restante periodo in nerazzurro, passando da elemento discusso a protagonista indiscusso, è bello parlare anche di un Carlos Augusto che anche con Federico Dimarco recuperato continua a godere della fiducia di Inzaghi che lo propone nuovamente titolare ripagato da ottime performance; ma anche di Yann Bisseck e Stefan de Vrij che reggono la staffetta con Benjamin Pavard e Francesco Acerbi garantendo sempre qualità, di un Yann Sommer che fa poche parate ma sempre determinanti, dei segnali confortanti di Davide Frattesi e Nicola Zalewski.

L’Inter, insomma, è un gruppo forte, che nonostante tutto si può vantare di godere anche della forza dei nervi ben distesi. Con la società che nel frattempo manda il suo messaggio di bentornato in Serie A a quel Sassuolo che lo scorso anno, nell’ambito di una stagione chiusa amaramente con la retrocessione, si è tolto lo sfizio di firmare gli unici due sgambetti sul trionfale cammino per la conquista della seconda stella. E che nonostante un finale di stagione che si avvicina, non vive come un peso l’approssimarsi dei tre traguardi stagionali. Anzi, è un motivo di ulteriore concentrazione. E prova ne siano le parole con le quali il mister ha accolto le affermazioni provenienti dalla Germania, dove il tecnico del Bayern Monaco Vincent Kompany ha rinfacciato ai nerazzurri di avere festeggiato un po’ troppo alla fine della gara di martedì.

“Dopo Monaco non ho visto grandi esultanze, ma una squadra orgogliosa dopo una grande prova di fronte a una squadra con campioni, un ottimo allenatore e il monte ingaggi più alto al mondo”. Così il tecnico di Piacenza ha liquidato la questione, riconoscendo il valore non solo tecnico del Bayern ma sottolineando che quello mostrato dall’Inter era orgoglio per la vittoria, contrapposto forse ad un pizzico di pregiudizio dal fronte teutonico, e non brio per aver pensato di aver chiuso la pratica. Mercoledì si riaprirà il discorso ma l’Inter lo sa, forte del fatto che solo una volta non è riuscita a chiudere nella propria storia una pratica europea dopo una vittoria all’andata: avvenne proprio col Bayern Monaco nel 1988, in Coppa UEFA. Un ingrediente in più da mettere sul tavolo, per cucinare un’altra grande serata.

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Sezione: Editoriale / Data: Lun 14 aprile 2025 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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