L’Inter è davvero prima in classifica, con due punti di distacco sulla seconda e un mondo intorno che grida, spintona e si dimena in soccorso del vincitore, chiedendo a gran voce che si punti allo scudetto senza nascondersi. In effetti vincere quattro partite consecutive, contro avversari tosti, inebria l’ambiente e ti convince che qualcosa di importante si stia materializzando. 

Quasi inutile tenere i piedi per terra, dopo cinque anni di auto affossamento, intervallati da un esaltante girone di andata stramaccioniano, culminato dalla splendida vittoria a Torino sulla Juventus e distrutto dalla più impressionante catena di infortuni della storia nerazzurra, oltre allo sbandamento societario che stava per cambiare padrone e un giovane allenatore lasciato alla deriva, senza alcun aiuto. Prima e dopo solo mortificazione e autocommiserazione. Ora la storia è stata cambiata con una cura da cavallo, una rivoluzione infinita che, nel frattempo, ha portato anche al congedo improvviso di Marco Fassone, mai amato per essere di sangue misto, simile più ad un funzionario che al dirigente di riferimento ma poco sopportato da una parte del tifo per motivazioni più istintive che razionali.

E poi l’Inter vista a casa di un Chievo che fa del calcio una prova di sforzo atletico per atleti dal piede discreto ma sacrificio come ragione di vita. Maran ha messo in piedi la partita che ci si attendeva e Mancini ha risposto con una scelta di continuità della formazione. La realtà però è che l’Inter è ancora zeppa di sbavature, di automatismi embrionali, di giocatori che vivono pericolosi momenti di smarrimento. Eppure il paradosso è che questa squadra imperfetta, ricostruita interamente in un'estate e terminata solo venti giorni fa, nonostante giochi insieme da poco tempo, si comporta da squadra più di quanto abbiano fatto tutte le Inter di questi anni. 

È impressionante come Felipe Melo si sia preso la scena nel giro di due partite diventando un punto di riferimento della squadra. Mi ha colpito vedere una scena apparentemente banale che invece definisce l’importanza di un giocatore simile. 
Al termine di un'azione conclusa male il brasiliano ha applaudito i compagni in attacco e ha gridato qualcosa che aveva la forma del sostegno. Una formula pallavolistica che si compie al termine di ogni punto, anche quello perso. Dopo anni in cui assistevamo a giocatori che si defilavano dopo gol mancati o presi, adesso c’è questo tizio che mulina le gambe, fa il viso cattivo come un cartone animato e sembra il leader della squadra da un secolo. Non basta ma è maledettamente utile. Mi affascina Perisic per il passo e il piede, meglio col Chievo che nel derby; Telles è bravino ma ancora leggero, Santon a tratti svagato poi improvvisamente robusto. Guarin fa un passo indietro dimostrando che se non è un campione affermato a livello internazionale è solo per la sua inguaribile discontinuità.

Temo solo per Kondogbia. Le sue caratteristiche unite alla posizione in campo, la sua età, il prezzo pagato per prenderlo e le relative aspettative tratteggiano distintamente uno dei primi bersagli che verranno colpiti quando l’Inter non vincerà. Non ha ancora una collocazione precisa, i suoi movimenti in fase di possesso non sono armoniosi come quelli che esprimeva al Monaco. Qui, per chi lo ha visto giocare in Francia, è visibilmente timido. Tra tutti potrebbe essere quello che impiegherà più tempo per arrivare al suo livello.

In ultimo, è davvero presto per sapere quanto vale davvero questa Inter, ma Mancini conosce lo sport e sa quanto può rendere una squadra che pensa più alle proprie potenzialità di quanto non rifletta sugli eventuali limiti. Una squadra con pochi dubbi è più forte. Perciò, pur sapendo che le basi non sono ancora così solide non respinge con sdegno la parola “scudetto” ma la lascia passare senza proclamarla. Se sei l’Inter dovresti sempre giocare per il titolo. Sempre, anche contro la logica. Se cominci a dire che questa squadra non ha veri obbiettivi, che la società non può spendere, se limiti l’ambiente e sottolinei la dimensione ridotta passi per un saggio allenatore che può piacere ai tifosi realisti ma danneggi la dimensione dei giocatori, i quali pensano e reagiscono agli stimoli in modo diverso. 

Sembra, ripeto, sembra una squadra incoraggiante rigonfia di orgoglio e attitudine al collettivo, senza paure e angosce perché non ha un passato da farsi perdonare, non ha il senso del dramma nerazzurro, non pensa che presto questo momento finirà. Semplicemente perché questa è un'Inter appena nata, giovane di testa ed entusiasta nelle gambe. Ed è questo che la rende così solida.
Amala

Sezione: Editoriale / Data: Lun 21 settembre 2015 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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