Lunghi viaggi, jet lag, allenamenti diversi, infortuni che fioccano. E poi la stanchezza fisica e mentale. Questi sono solo alcuni dei problemi generati dalla sosta nazionali con cui devono fare i conti i giocatori (in primis) e i club, che ogni tot settimane vedono svuotarsi i centri sportivi per dare il via alle preghiere. Perché quando scatta la ‘pausa’ - termine che vale, ovviamente, solo per l’obbligato stop ai campionati - la paura è sempre la stessa: gli infortuni. Un allarme e un problema legato alle condizioni dei giocatori che ha mosso le proteste di Assocalciatori e sindacati vari per cercare di trovare la soluzione ad un problema, quello dei calendari intasati, che sta andando sempre più oltre il limite.

Con il passare del tempo, come se le partite non fossero già abbastanza, FIFA e UEFA hanno avuto la brillante idea di aggiungere altre (evitabili) competizioni: la Nations League, la Finalissima, il discusso Mondiale per Club e chi più ne ha più ne metta. Il tutto nel nome dell’innovazione e dello spettacolo, perché secondo i vertici del calcio europeo e mondiale l’equazione è semplice: più partite = più spettacolo. Ma anche no. Lo show non scatta in un automatico al fischio d’inizio di un qualsiasi match, ma deve essere definito tale per quello che i protagonisti (quindi i giocatori) sono capaci di mostrare in campo. Va da sé che se un calciatore è ‘costretto’ a giocare una cinquantina di partite all’anno - con brevi pause di due o tre giorni tra l’una e l’altra - lo spettacolo viene meno. E il campanello d’allarme, invece, suona sempre più forte.

Lo sa bene l’Inter e lo sa bene Hakan Calhanoglu, protagonista di due problemi fisici a cavallo tra le ultime due soste. Prima l’elongazione agli adduttori della coscia sinistra accusata nella trasferta di Roma, primo appuntamento dopo la pausa in cui era stato spremuto per bene dalla sua Turchia; poi il secondo stop, quello degli ultimi giorni, “meno grave” del primo ma da valutare meglio nelle prossime ore, quando il centrocampista farà rientro a Milano. Non ero ancora pronto - ha ammesso lo stesso Calha dopo la sostituzione all’intervallo di Turchia-Galles -. Lo stesso punto in cui avevo accusato fastidio ha ricominciato a farmi male. Così non ho corso rischi, ha iniziato a pizzicare”. E nonostante non fosse ancora pronto e avesse saltato i primi allenamenti nel giorno di raduno, il ct Vincenzo Montella non si è fatto problemi a lanciarlo comunque titolare in Nations League. Senza dare troppa importanza alle condizioni fisiche del giocatore e (anche) alle esigenze del suo club di appartenenza.

Stesso discorso che può essere applicato al modus operandi di Luciano Spalletti che, dopo aver strappato il pass per i quarti di finale di Nations League con una giornata d’anticipo affidandosi al blocco Inter-Nazionale, ha deciso di replicare il poker di nerazzurri anche nella sfida contro la Francia, utile solo per un primo posto nel girone (alla fine sfumato); e allora perché dare un po’ di riposo a Bastoni, a Dimarco, a Frattesi o a Barella? Con quest’ultimo, tra l’altro, inventato addirittura trequartista nonostante nel roster azzurro figurasse il nome di Moise Kean. Che di professione fa l’attaccante e che in questo periodo è uno dei più in forma dell’intera Serie A.

FIFA, UEFA, Federazioni e ct… ‘avete rotto il ca…lcio’. E dimenticate una cosa: i giocatori sono di proprietà dei club, sono stipendiati dai club, con danni e cure per gli eventuali infortuni a carico - indovinate di chi? - dei club. Servirebbe più buon senso nelle scelte: i giocatori non sono macchine e non esistono solo le Nazionali, a cui diamo volentieri un arrivederci a marzo. Alla prossima sosta.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 20 novembre 2024 alle 00:00
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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