L’Empoli è quella squadra che, nel tradizionale sondaggio post girone d’andata condotto dall’agenzia Italpress tra gli allenatori della Serie A, è stata votata dalla maggior parte di coloro che hanno risposto come squadra rivelazione della prima parte di campionato. L’Empoli è una squadra che sin qui ha saputo mettere bene il guinzaglio a quasi tutte le squadre di vertice di questo campionato, strappando il pareggio alla Juventus e facendo sudare l’Atalanta, per tacere di come si è vista sottrarre un punto sacrosanto contro il Napoli. L’Empoli di Roberto D’Aversa è l’avversaria dell’Inter nel match di questa sera a San Siro, in una serata importante visto anche il risultato di Bergamo dove il Napoli ha dato un colpo forte al tavolo del tricolore e l’Inter deve necessariamente rispondere per non agevolare la fuga, e anche in proiezione alla sfida europea di Praga, primo match point per il passaggio agli ottavi di finale di Champions League, che avrebbe anche potuto essere l’unico se a Leverkusen non fosse arrivata quella giocata un po’ così nel finale che, a naso, ha tolto dagli imbarazzi anche il panel UEFA deputato di scegliere il miglior giocatore dell’incontro.

Non arriva a questa sera in un bel momento, l’Inter, che con il mese di gennaio, si sa, a parte qualche rara eccezione ha un rapporto storicamente complicato, vuoi per un motivo vuoi per un altro. E la tendenza si sta confermando, anche al di là della situazione nelle due classifiche, quella di campionato e quella europea: a Venezia è arrivata una vittoria e una vittoria doveva arrivare senza troppi fronzoli, prova ne sia la ricerca della bandierina nei minuti finali anziché il tentativo magari di uncinare il 2-0, anche considerando che i lagunari la chance per strappare un clamoroso pareggio l’hanno avuta con quel palo di Gianluca Busio che forse ancora vibra. Tre giorni dopo, però, contro il Bologna, si sono palesate quasi tutte insieme le difficoltà che stanno condizionando fortemente il momento storico dei nerazzurri, presi di sorpresa da una squadra come quella di Vincenzo Italiano capace di rispondere colpo su colpo, anche con una discreta dose di fortuna, ad un’Inter che solo in parte ha dato l’impressione di poter tenere le redini del match, mancando colpevolmente nel momento in cui serviva l’alzata finale sui pedali. Il tutto, doverosa postilla, con l’aggiunta di un arbitraggio a dir poco irritante che ha fatto il resto quando serviva.

Eppure, se l’analisi si fermasse qui, sembrerebbe di parlare di una squadra che sta annaspando nelle posizioni di retrovia, che vede il traguardo europeo lontano dieci miglia e che ha strappato una vittoria dopo non si sa quanto tempo. Poi, però, si guarda bene la classifica e si legge chiaramente che l’Inter ha vinto 13 partite su 18, pareggiandone cinque e perdendone solo una, quel derby contro il Milan del quale si è avuto un amaro replay a Riyadh in quell’arzigogolo che è ormai diventata la Supercoppa italiana. E che prima delle due reti subite dal Bologna l’ultimo gol in campionato se lo era fatto praticamente da sola, con quella sfortunata deviazione di Matteo Darmian contro il Parma poi ripagata con gli interessi dal gol vittoria al Penzo. Il tutto, anche dovendo fare a lungo a meno del rendimento sottoporta del proprio capitano Lautaro Martinez. Un’Inter che sapeva di dover affrontare una stagione inedita, estenuante e per certi versi anche balorda, e che come è capitato a molte altre squadre probabilmente si è ritrovata a fare i conti con un carico di fatica e problemi fisici superiore alle stime più pessimistiche possibili.

Ma a quanto pare, tutti gli alibi di questo mondo non bastano ad evitare alla squadra di Simone Inzaghi di dover affrontare le forche caudine del malcontento e della polemica oltremisura: è partito il malumore dagli spalti di San Siro da parte di chi, quasi sorpreso, ha potuto cogliere l’occasione per dare la caccia al capro espiatorio, individuandolo una volta in Kristjan Asllani, che col Bologna forse ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare, un’altra in un Mehdi Taremi che in estate tutti etichettavano come il nuovo principe delle favole e che ora un gol non riesce più nemmeno a disegnarlo su un foglio di carta. Tralasciando il discorso legato a Davide Frattesi, ampiamente toccato e trattato, l’evidenza più lampante è che la favoletta delle due squadre e tre quarti lanciata da qualcuno in maniera anche strategica è forse definitivamente implosa sulle sue fondamenta: l’Inter non è perfetta, o perlomeno non lo è nella costituzione di una rosa che deve gestire tre impegni contemporaneamente e deve pensare ad una stagione lunga addirittura fino a luglio. Ma è anche vero che non si hanno i mezzi di un Manchester City o di un Real Madrid e per molto tempo si è dovuto fare di necessità virtù, che Inzaghi girandosi verso la panchina non vede Josko Gvardiol, Rodrygo e Aurelien Tchaoumeni, e chi pensa che i fischi possano essere l’unica ricetta per scuotere qualche elemento giù di corda ostinatamente vuole andare contromano e magari dire che sono gli altri che sbagliano direzione.

Non solo: puntuale si è scatenata anche la grancassa mediatica che non ha perso tempo per dipingere la situazione come prossima all’apocalisse e ad accostare all’Inter termini funesti come guaio quando non addirittura la tanto cara parola crisi. Quando non addirittura a imbastire delle vere e proprie tavole rotonde facendo esprimere esperti e addetti ai lavori di vario livello, un carosello di dotti, medici e sapienti in un Paese che oltre ad essere terra di santi, poeti, eroi e navigatori è anche terra di allenatori e opinionisti calcistici come giri l’angolo. E tutti a correre al capezzale di questo malato così grave, a sdottorare ed esprimere i loro pareri, a parlare di contraccolpi psicologici, pressioni, leggerezza che non c’è più e chi più ne ha più ne metta. Analisi che però di rado si sentono quando si deve parlare di altre squadre che magari stanno vivendo lo stesso periodo travagliato in un anno dove chi vive per preparare una partita alla settimana ha indubbiamente gioco più facile. E poi, ovviamente, c’è chi reclama il ricorso a quella che si ritiene la panacea di tutti i mali, vale a dire il mercato. Che però a gennaio non è che offra chissà quali soluzioni clamorose a meno che non si abbia il big cash. E poi, sono rari anche se non inesistenti i casi in cui in inverno gli acquisti sono stati in grado di fare la differenza da subito, anzi non di rado prima di vedere un acquisto di gennaio in campo bisogna aspettare febbraio inoltrato.

Simone Inzaghi sa come funziona, ormai ha le spalle larghe dopo tre stagioni e mezza di militanza nerazzurra. E quando può, coglie l’occasione per rispedire al mittente, sempre con classe e misura, certe affermazioni. Non c’è bisogno che qualcuno gli urli di scappare da certi simposi dove tanti giudicano, valutano e propongono rimedi. È lui a tastare la situazione 365 giorni l’anno, è lui a dover trovare le chiavi per risolvere la questione. Senza dotti, tecnici e sapienti.

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Sezione: Editoriale / Data: Dom 19 gennaio 2025 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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