"Chi tocca l'Inter muore". Ok, magari siamo esagerati, ma quanto accade regolarmente ormai da anni a quei giocatori che più o meno volontariamente lasciamo i nerazzurri è un qualcosa che va evidenziato. Si salvano davvero in pochi, anzi forse nessuno.

Dal Sunderland, sprofondato dopo la diatriba Alvarez, sono passati anni. Lì si trattava di una disputa legale tra club, ma poco cambia. Restando ai calciatori, impossibile non sottolineare la perdita di quota, ad esempio, di Skriniar, passato in pochissimo tempo da capitano e leader nerazzurro a panchinaro del PSG (e pure malsopportato, a leggere le cronache francesi...). L'ultimo esempio, forse quello più lampante, riguarda Lukaku, anche ieri clamorosamente mancante con il suo Belgio contro la Slovacchia: carriera in picchiata.

Ma il discorso si potrebbe allargare e non di poco. Da Brozovic a Onana, da Perisic a Icardi: nessuno ha confermato gli standard visti a San Siro con la maglia nerazzurra. E l'elenco è ancora lungo, ma evitiamo per ragioni di spazio. Hakimi e Cancelo? Beh, in quel caso non furono due addii voluti, anzi: entrambi sarebbero rimasti volentieri.

Al di là delle facili ironie, evidentemente alla base c'è anche una ragione di campo. La verità è che negli ultimi anni si è ribaltato quanto spesso accadeva in precedenza, quando in troppi arrivavano all'Inter con un esagerato carico di speranza poi puntualmente delusa. Adesso l'Inter valorizza e rilancia. È diventata la squadra dove chiunque viene chiamato in causa dà il suo meglio, che si tratti di giovane o più in là con l'età. E chi va via, alla meglio, se ne pente. "Chi tocca l'Inter, muore".

Sezione: Editoriale / Data: Mar 18 giugno 2024 alle 09:30
Autore: Alessandro Cavasinni
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