"Nel calcio nulla è scontato", ha spiegato Simone Inzaghi in conferenza stampa martedì sera dopo Inter-Feyenoord, la gara che ha regalato ai nerazzurri il secondo accesso ai quarti di finale della Champions League nei quattro anni di gestione del Demone. E in effetti, anche per come è arrivato il passaggio del turno, dopo quella League Phase, a molti è venuto naturale normalizzare l’impresa che normale non è, se si allarga il discorso alla storia recente del club. Per dare un’idea più netta con i numeri: dopo la stagione del leggendario Triplete, concetto tornato recentemente alla ribalta per un siparietto del tecnico di Piacenza con un giornalista, l’Inter si è spinta fino a questo punto della competizione solo in tre occasioni. Inzaghi ha raddoppiato il conteggio e ancora recrimina per le eliminazioni agli ottavi con il Liverpool del 2021-22, dopo la vittoria di Pirro di Anfield, e con l’Atletico Madrid che l’anno scorso, di questi tempi, mandava a casa Lautaro Martinez e compagni dopo la lotteria dei tiri di rigore.
Insomma, un percorso che, secondo l’ex Lazio, meriterebbe altro riconoscimento dalla critica nostrana, che - a suo dire - non ha tributato il giusto merito a un gruppo capace di tenere alta la bandiera italiana in Europa da quattro stagioni. "Sento pochi complimenti per i ragazzi, quindi li faccio io pubblicamente. Grande affetto ce lo danno i nostri tifosi, ci basta quello, ma vorrei sentirne ancora di più perché stiamo facendo cose grandissime”, ha spiegato Inzaghi. Che pure negli anni si è guadagnato il rispetto di tutti i più grandi colleghi in circolazione: da Pep Guardiola a Carlo Ancelotti, passando per Diego Pablo Simeone e Jurgen Klopp, la lista è lunghissima. All’estero già da tempo stanno sottolineando l’unicità del gioco dell’Inter, un’espressione anti-storica per il belpaese, secondo il punto di vista di Thierry Henry, l’ultimo degli analisti illustri a parlare con ammirazione della filosofia che va predicando l’Inter da quando Inzaghi ha deciso di far evolvere il 3-5-2 con cui Antonio Conte aveva dominato il campionato togliendo il club della mediocrità che la opprimeva da troppo tempo. Se prima si parlava di 'conquistare la Champions League', intendendo la partecipazione alla massima competizione continentale per club, ora la stessa frase ha il significato non banale di provare a vincere la ‘Orejona’.
Nella ultracentenaria storia della società non è capitato tantissime volte guardando la bacheca e conteggiando le finali. In più, se a metà marzo non è utopia parlare di Treble, allora è subito chiara la dimensione enorme del lavoro svolto da tutte le componenti. In un’epoca in cui è impossibile, per società con ricavi come l’Inter, comprare campioni dalla giocata facile, i famosi dribblatori che le top 8 hanno tutte in abbondanza, Beppe Marotta e Piero Ausilio hanno scelto con Inzaghi una strada alternativa che ha portato alla costruzione di una creatura rara con cui ora devono fare i conti le grandi del calcio. La base filosofica italiana, intesa come il desiderio innato di non subire gol, si mischia al coraggio di attaccare senza dare punti di riferimento come nel calcio totale olandese. Il risultato è il calcio relazionale che stupì in positivo David Moyes, nella gara d’esordio della nuova Champions League pareggiata dall’Inter contro il Manchester City lo scorso 18 settembre: "Una cosa che mi ha colpito è stata quanto fossero anticonvenzionali e inventivi con i centrocampisti e i difensori che cambiavano posizione: a volte si vedevano un paio di difensori centrali avanzare prima dei centrocampisti nella costruzione - le parole dell’ex manager di United e West Ham per UEFA.com -. Erano intercambiabili e completamente a loro agio nel farlo. I giocatori erano molto flessibili nel ruotare le posizioni, a loro agio piuttosto che preoccupati di apparire fuori posizione, e questo valeva anche quando non avevano il possesso palla. L’organizzazione 5-3-2 è solida e strutturata. Utilizzano più giocatori per fare il loro blocco basso. Oltre al duro lavoro dei tre centrocampisti per coprire l'ampiezza, hanno i difensori centrali larghi, Yann Bisseck a destra e Bastoni a sinistra, che escono per fare pressione sui giocatori avversari. Il City ha cercato di punirli, con giocatori che cercavano di correre negli spazi, ma l'Inter è sembrata ben allenata e sapeva cosa stava facendo. Hanno usato bene il loro blocco basso".
Un ritratto dell’Inter che Inzaghi apprezzerebbe perché arriva da un addetto ai lavori. Uno dei tanti che, come fatto notare a Sky Sport da Esteban Cambiasso, dà il giusto valore al suo lavoro: "Chi è dentro il calcio sa che è molto molto forte, solo all'esterno è percepito come meno importante", la riflessione del Cuchu. Questione di competenze, insomma, altrimenti si tratterebbe di semplice malafede.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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